Regionali: tra primarias e somarismo

Regionali: Maninchedda trionfa alle primarias di partito (non nazionali) e conferma i 18mila voti del 2014, ma è solo secondo nella corsa ai soldi pubblici: Andrea Murgia, candidato di Autodeterminatzione, propone l’uso di un miliardo di euro per cantieri verdi. 300 milioni in più del mutuo da 700 milioni già impegnato da Pigliaru e Maninchedda per i cantieri rossi.

Si passa così dal sovranismo al somarismo: i partiti che dovrebbero salvare l’isola propongono debiti e decrescita. E nel frattempo arriva “Sardi Liberi”.
Parliamo di programmi e di politica.

Di Adriano Bomboi.

È la politica della “doppia D” (Debiti & Decrescita) il filo conduttore che unisce la proposta politica dei candidati più in vista per le regionali 2019.

Il primo, Maninchedda (PdS), forte di un consenso di 18mila seguaci (gli effettivi elettori delle primarias tenutesi online), conferma il bacino delle regionali 2014 e mostra così il suo biglietto da visita a chiunque voglia accogliere una sigla che in pochi mesi rischia però di perdere buona parte del suo capitale politico. Una corsa solitaria porterebbe inevitabilmente all’opposizione o, peggio, all’estinzione.
Non si è trattato ovviamente di “primarie nazionali sarde”, che avrebbero richiesto una partecipazione ben più ampia di sigle, numeri e candidati (idea peraltro promossa dal sottoscritto numerosi anni fa), ma di primarie di partito destinate a individuare una collocazione politica in una difficile fase di transizione. Il risultato era infatti scontato sin dall’inizio e inficiato soprattutto da un centrosinistra che, come detto nello scorso articolo, ha scelto di ignorare la strategia di Paolo Maninchedda e di giocarsi tutto con Massimo Zedda.

Il secondo, Andrea Murgia (Autodeterminatzione), appare il candidato più debole in corsa: al riguardo rimane solo da capire se Francesco Desogus dei 5 Stelle sceglierà il silenzio, confermando il sospetto di un accordo romano tra grillini e leghisti, per consegnare a questi ultimi il governo dell’isola.
Ad oggi infatti Murgia insiste nel proporre programmi che aggraverebbero ulteriormente la condizione assistenziale dell’isola, frenandone la crescita e alimentando nuovi focolai di spesa pubblica. Stavolta verso improbabili cantieri verdi, una versione alternativa dell’uso di denaro pubblico già avviato dalla giunta Pigliaru (con Paci e Maninchedda). Ricordiamoci infatti che tale denaro non si classifica alla voce “investimenti” in quanto si tratta di puri e semplici trasferimenti diretti. Non esiste dunque neppure un presunto effetto “moltiplicatore” ma l’elargizione di stipendi e finanziamenti pubblici a tempo determinato, destinati a migliorare solamente i consumi dei riceventi per l’acquisto di beni prevalentemente prodotti altrove. Quand’anche infatti si volesse ristrutturare l’edilizia privata dell’isola, nei termini immaginati da Andrea Murgia, non si comprende per quali ragioni un privato dovrebbe acquistare il nostro costoso sughero e non i più economici e performanti materiali isolanti oggi presenti sul mercato e non prodotti localmente. La Sardegna avrà inoltre bisogno di energia in quantità per sviluppare il suo settore manifatturiero, e non certo rovinosi investimenti in impianti fotovoltaici, finanziati dai contribuenti, che nei prossimi anni verranno ampiamente rimpiazzati da tecnologie più efficienti.

Paradossalmente, il Partito Sardo d’Azione, che pure deve la sua esistenza a decenni di spoils system, con la sua vecchia proposta di zona franca, pare invece sostenere una linea culturalmente diversa: bisogna infatti ridurre il fisco per poter attirare investimenti sani, e non aumentare la spesa pubblica intercettando ulteriore e improduttiva speculazione.

Di fronte a un panorama politico di programmi tanto dannosi e inconcludenti, si affaccia anche il nuovo cartello elettorale di “Sardi Liberi”, punto di incontro tra due sigle derivanti da vicende diverse, ProgReS e Unidos (più ex sardisti). C’è da dire che ProgReS, nonostante appaia indebolita da tempo e priva di peso elettorale, ha un doppio merito: a) quello di aver compreso il valore del motto “l’unione fa la forza”, che per l’indipendentismo non è affatto scontato; b) quello di essersi aperta realmente al pluralismo. Unidos di Mauro Pili infatti è una sigla che affonda il suo consenso in un bacino politico di centrodestra, malgrado varie sue scelte vedano sempre nella spesa pubblica lo strumento principale di intervento nell’economia dell’isola.

Unidos inoltre si trova costretta a replicare la strategia delle scorse elezioni regionali. Non avendo trovato un’intesa col centrodestra e in particolare con Forza Italia (che di suo ha già dovuto ingoiare il rospo della candidatura sardista di Christian Solinas), si pone come elemento di disturbo del centrodestra. Un ruolo che sino a qualche settimana fa veniva attribuito ad Ines Pisano. A questo punto ci sarebbe pure da discutere se Maninchedda e Pili non trovino più opportuno coalizzarsi per immaginare la nascita di un terzo polo identitario da contrapporre agli altri schieramenti, e non apparire come orfani del bipolarismo. Ma l’ambigua presenza dei 5 Stelle rende difficoltosa ogni previsione rispetto ad elezioni che saranno un massacro per tutti. E nei cui programmi al momento si nota ben poca differenza. Ci auguriamo che Sardi Liberi non compia gli errori dei nostri precedenti esempi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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