Isola del turismo o isola di incendi e spopolamento?

Incendi, mancato sviluppo del turismo e spopolamento interno dell’isola sono figli della stessa causa: l’assenza di investimenti privati. L’oppressione fiscale e burocratica impedisce una valorizzazione del patrimonio ambientale oggi abbandonato a sé stesso, mentre i sussidi pubblici alimentano speculazioni, clientele e stagnazione economica. Ma anche sul versante indipendentista le soluzioni non abbondano, ad esempio c’è chi crede che il diritto penale da solo possa costituire un valido deterrente al fenomeno degli incendi. Parliamo di questo e altro – Di Adriano Bomboi.

Come d’abitudine, anche quest’anno la piaga degli incendi ha dilaniato numerosi ettari della Sardegna, mentre tanti giovani hanno scelto, non senza dolorosa rassegnazione, di emigrare via da un contesto poco propenso a valorizzare competenze e buona volontà. Ambiente e uomini sono dunque le vittime sacrificali di una politica che ha fatto dell’immobilismo e delle promesse elettorali gli strumenti con cui consolidare il proprio potere.
Tutto ciò accade di fronte ad una popolazione in cui il calo delle nascite si sovrappone ad un’economia che non mostra apprezzabili segnali di ripresa.

Per comprendere i ritardi culturali del nostro ceto politico (uso la definizione di “ceto” perché questi professionisti campano abitualmente di soldi pubblici) dobbiamo pensare che attorno all’isola, nel solo mese di agosto, sono scorazzati milioni di turisti che mai si sognerebbero di sostare dalle nostre parti, sia a causa di un numero limitato di strutture e servizi capaci di ospitarli in rapporto al potenziale del territorio; sia a causa dei trasporti di cui più volte abbiamo parlato; sia a causa di un fisco e di una burocrazia giunti a livelli delinquenziali. Ciò nonostante – non ridete – per questi politici i maggiori problemi del turismo deriverebbero dalle “seconde case affittate in nero”.

Dietro la cortina di imbecillità politica abbiamo in realtà una Sardegna che – a differenza di tutte le isole indipendenti o maggiormente autonome del Mediterraneo – con il concorso dello Stato, ha eretto i più grandi ostacoli alla possibilità di attirare investimenti. E anche laddove fossimo in grado di attirarli, pensate al fondo sovrano del Qatar, si ottiene l’annacquamento di ogni valida iniziativa nel pozzo dei divieti, delle lungaggini e della speculazione. Quest’ultima, nel senso comune del termine, si presenta maggiormente nelle località in cui la politica si sostituisce al mercato. La spiegazione è molto semplice: chi utilizza capitali e pubbliche sovvenzioni perde il cosiddetto “rischio d’impresa”, cioè il rapporto tra costi e benefici per cui un qualsiasi imprenditore decide di investire in un progetto. Tale progetto finisce così per ancorarsi alla logica dell’aiuto pubblico, incapace di reggersi sulle proprie gambe e trascinandosi verso la fine. Viceversa, in località a più bassa pressione fiscale e burocratica, prive di sussidi, le imprese possono insediarsi solo perché realmente interessate a sviluppare progetti di lunga durata.

La politica regionale, inclusa la sinistra indipendentista, pare ignorare una visione d’insieme dei problemi e delle ipotesi riformistiche con cui affrontarli. Proprio le piaghe degli incendi e dello spopolamento ci offrono due esempi caratteristici: su quest’ultima, partiti come PD, sovranisti e Forza Italia, ritengono che si possa risolvere tramite l’ennesima e fallimentare ricetta neokeynesiana, ossia riversare soldi pubblici in deficit per i più improbabili programmi di rilancio delle nostre comunità. Dai tempi della “Rinascita” non si perde occasione per sperperare il denaro dei contribuenti al solo scopo di foraggiare il circuito politico-burocratico che dovrebbe rilanciare un mercato di cui non comprendono nulla. Ma anche sul versante indipendentista le soluzioni non abbondano, ad esempio c’è chi crede che il diritto penale da solo possa costituire un valido deterrente al fenomeno degli incendi: il movimento “Liberu” ha proposto di equiparare alla fattispecie di “strage” il reato di incendio doloso. Una formula populista tipicamente in auge in movimenti radicali privi di cultura giuridica. Infatti la piromania è un disordine classificato dalla psichiatria tale per cui, con un quadro clinico più ampio, ben pochi legislatori e giudici potrebbero condannare qualcuno sulla base di un disagio mentale. Inoltre sappiamo che solo una minoranza di roghi realmente dolosi risultano poi facilmente individuabili nelle loro responsabilità (esclusa la flagranza di reato, le prove vengono abitualmente distrutte dalle fiamme). Per non parlare della maggioranza dei roghi dovuti – non solo ad incuria e negligenza – ma soprattutto alla stessa ragione del nostro mancato sviluppo turistico e dello spopolamento: la scarsità di investimenti privati.

L’abbandono, conseguente alla scarsa resa economica, dei fondi rurali sardi (agricoltura compresa), dovuta alle medesime ragioni fiscali e burocratiche citate, è causa primaria di scarsa prevenzione nella cura dei terreni che in previsione della stagione secca andrebbero ripuliti dalle sterpaglie. Infatti spesso i titolari dei terreni non sono affatto cittadini benestanti ma persone che hanno ereditato un pezzo di terra da cui ne traggono più costi che benefici (terra peraltro difficile da vendere in un mercato alquanto povero, salvo offrirla a speculazioni sussidiate dalla politica).
In tutto ciò l’auspicio di maggiori campagne di sensibilizzazione della pubblica opinione diventa uno sterile corollario paternalistico ad un problema che richiede soluzioni meno emotive.

Dobbiamo considerare che in una democrazia l’efficacia delle regole non si misura dal grado di sanzioni rivolte a colpire l’incuria o il dolo di qualcuno, ma anche dal grado di incentivi e libertà permesse al cittadino, e che consentono di valorizzare e conservare l’ambiente che popola. In buona sostanza, se ad esempio per “Liberu” gli incendi sono un problema che ha molto a che vedere col diritto penale, per noi si tratta invece di un problema che ha maggiormente a che vedere col diritto tributario, col diritto amministrativo, con gli eccessivi vincoli del piano paesaggistico, e con un’altra serie di norme, anche statutarie, che richiederebbero profonde revisioni: cioè riforme destinate a sprigionare la potenza del mercato, e ad invertire un trend culturale che ci ricorda molto quegli stregoni che un tempo speravano di risolvere l’epilessia tramite un esorcismo.

La politica che pensa di utilizzare il Diritto come bastone, scordandosi la carota, o magari abusandone, ha già fallito in partenza nel compito di aiutare il popolo che pretende di rappresentare.

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