Lingua Sarda: il Consiglio d’Europa indaga lo Stato Italiano. Ne parliamo con Giuseppe Corongiu

Incontriamo Giuseppe Corongiu, ex direttore dell’ufficio linguistico regionale e promotore del CSU, il Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale per la salvaguardia della nostra lingua nazionale.

Di Adriano Bomboi.

Andiamo dritti al punto: a Roma il CSU ha incontrato gli ispettori del Consiglio d’Europa in tema di tutela delle minoranze linguistiche. Lo Stato Italiano sarebbe inadempiente. Di cosa avete parlato esattamente?

Abbiamo parlato del Quarto Rapporto di verifica della Convenzione Quadro delle Minoranze Nazionali in vigore dal 1998 (ratificata dalla Repubblica Italiana) e delle bugie che lo Stato Italiano ha raccontato in quel documento sulle sue minoranze linguistiche e nazionali al Consiglio d’Europa. Abbiamo spiegato, e documentato, che l’Italia non è il paese di Bengodi per le minoranze come hanno scritto. Ma anzi, minoranze deboli, come quella sarda, friulana, occitana e altre, rischiano di essere cancellate per sempre. Il comitato consultivo degli “ispettori” ci ha ascoltato e ha capito di essere di fronte a una situazione di inadempienza molto delicata. Caso più unico che raro, ci ha invitato a scrivere un rapporto che farà parte della loro “Opinione” resa alle autorità europee. Credo che si vada verso un richiamo ufficiale all’Italia per mancato rispetto dei diritti civili nazionali e linguistici dei Sardi. Cosa però ancora più paradossale è stata l’assenza a questi incontri della Regione Sarda. Nessuno si è fatto vedere. Possibile che ci sia stato un veto? O che il Servizio Lingua Sarda dell’assessorato regionale della Pubblica Istruzione non fosse informato su un avvenimento tanto importante e cruciale? Sarebbe gravissimo.

Quando fu istituito l’ufficio linguistico della Regione? Che risultati ha prodotto? E perché è stato accorpato?

L’ufficio linguistico fu istituito nel 2007, mentre il servizio amministrativo dedicato alle politiche linguistiche nel 2008 da Renato Soru. Nella dotazione della Regione non esisteva un dirigente con la specializzazione nella politica linguistica e fui chiamato io (che avevo in quegli anni già un’esperienza) in comando da un ente locale per avviare e consolidare questo progetto. Abbiamo attraversato gli anni di Soru e Cappellacci battendoci come leoni (anche contro la burocrazia regionale che mal sopportava questi intrusi) e mettendo in campo decine di programmi e iniziative di promozione linguistica pur nelle ristrettezze economiche. Abbiamo prodotto un cambio di marcia, un’inversione di tendenza sul problema lingua. Abbiamo aumentato la sensibilità e la consapevolezza della pubblica opinione. Abbiamo ottenuto significativi risultati sull’insegnamento, sull’uso della lingua nell’ufficialità, nei media, nella tecnologia. Abbiamo realizzato finalmente lo standard ufficiale. Abbiamo formato insegnanti e operatori. Avviato la catalogazione dei dialetti-variante. Scritto grammatiche e correttori automatici. Abbiamo doppiato cartoni animati e finanziato radio, TV, web e riviste. Abbiamo svecchiato il mondo della lingua del folklore e della dialettizzazione. Preparato il terreno con queste azioni, eravamo alla vigilia di una svolta epocale sui parlanti confermata dai dati raccolti, purtroppo interrotta dall’avvento di questa prima Giunta Pigliaru nel 2014.

La politica linguistica regionale non si è certamente contraddistinta per lo stesso grado di assistenzialismo che ha toccato altri capitoli della spesa pubblica, ed il suo potenziamento si rende necessario alla luce dell’invasiva omologazione linguistica e culturale che lo Stato Italiano sta compiendo a danno del sardo. Cosa possiamo contestare all’attuale Giunta regionale?

Avevamo individuato come uno dei motivi della crisi del sardo il fatto che in Sardegna si fosse imposta la visione accademica auto colonizzante della lingua. Cioè una mistificazione che con pregiudizi e luoghi comuni portava alla polverizzazione dialettale del sardo e alla sua auto emarginazione nel folclore. Il contrario di una lingua nazionale normale. L’abbiamo denunciato a più riprese e gli accademici (vero potere forte in Sardegna) hanno reagito con una campagna di delegittimazione senza precedenti del servizio linguistico, del suo direttore e della lingua standard. E’ ovvio che, nel momento in cui, le università hanno commissariato la politica e trasformato il governo regionale in una sorta di dependance del senato accademico, per la politica linguistica “normale” sarebbero iniziati tempi duri. E infatti, dopo la mia “liquidazione”, propiziata con un cavillo dalla burocrazia regionale e asseverata dalla politica (con alcune eccezioni importanti per fortuna come Efisio Arbau) è cominciata la fase del sonno. Torpore che dura tuttora perché i progetti sono tutti fermi e la politica dell’annuncio fine a se stesso impera. Ci sono voluti 18 mesi per arrivare a un bando – discutibile – sulla scuola. Ma è possibile? Quel poco che si fa è disperatamente copiato dagli anni precedenti. Di fatto manca però una visione, un’elaborazione di pensiero, una prospettiva. Si sono cancellati dieci anni di lavoro senza imporre una nuova egemonia. IL CSU protesta, pressa, i giornali scrivono e allora si fa qualcosa, così tanto per contentare qualcuno. Non ci credono e sono anche incompetenti. Quelli che in questi anni ci hanno contrastato perché volevano fare due lingue (campidanese e logudorese) oggi mostrano tutta la loro inconsistenza culturale e politica. Sono sempre più preoccupati. Non mi meraviglierei se tra un po’, per conservare disperatamente il ruolo acquisito, sostenessero, dopo tante panzane dette e sciocchezze fatte, le ragioni di una standardizzazione unitaria. Hanno fatto dei danni politici, culturali e umani  incredibili alla questione della lingua con le loro divisioni. Tutto per ambizione personale per avere il misero ruolo dei contestatori divisivi. Ma non sanno governare.

Qual è la situazione del movimento linguistico sardo? E quali errori sono stati commessi finora dalle sue varie componenti?

Il vero lavoro importante che ho svolto alla Regione è stato quello di consolidare una rete delle diverse esperienze e competenze del Movimento Linguistico. C’era una maggioranza di operatori, intellettuali, linguisti, insegnanti, giornalisti, animatori che condividevano il progetto e ne facevano parte. Quando si è verificata la mia uscita, c’è stato un deficit di analisi. Molti hanno pensato di poterne approfittare per vantaggi personali, perché non hanno approfondito bene la natura del Movimento Linguistico. Esso non è mai stato organizzato e strutturato, non ha mai avuto una vera egemonia nella società. Si è basato sempre, come una squadra di calcio sudamericana degli anni Settanta, sulle singole imprese degli individui. I singoli hanno fatto avanzare la questione linguistica e quando i singoli sono stati fermati, si è fermata la politica linguistica intera. Alla Regione Sardegna non c’era niente di consolidato da occupare o da trasformare in spoils system. Il servizio infatti è stato declassato, accorpato e sostanzialmente abolito. Non esiste più come prima. La Regione, una volta espulso il corpo estraneo, si è rinchiusa in se stessa opponendo alla creatività la burocrazia più insulsa. Allo stesso modo è stato tristissimo vedere persone impegnate nella difesa della lingua sollevare, alla vigilia delle elezioni, tante questioni di lana caprina sulla Limba Comuna, nel tentativo di rifarsi una verginità e riposizionarsi a proprio vantaggio. Sono rimasti tutti a bocca asciutta, ovviamente, e se lo meritano perché non hanno capito bene la situazione e hanno fatto errori politici gravi danneggiando la causa. Linguisti, sociologi e giornalisti che hanno investito sulle divisioni invece che sul lavoro e sull’unità. Che spreco. Ora il Movimento è sfilacciato perché politicanti e accademici sono riusciti a dividerlo. Sono in grande evidenza gli “imprenditori” della lingua quelli che hanno fatto un vero business e che aiutano, per soldi (pubblici), la politica regionale nel suo vero grande obiettivo: tornare indietro di quindici anni all’epoca pre Soru, pre Lsc e pre Corongiu.

Assieme al gruppo regionale Sardegna Vera, con Efisio Arbau, il CSU ha presentato una proposta di legge per la normalizzazione del sardo. Quali sono i punti salienti del nuovo progetto rispetto alla legge 26/97?

Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente Efisio Arbau e il gruppo di Sardegna Vera. Arbau è un politico diverso, onesto, credibile, franco. Un misto di vecchio stile gentleman di campagna e di innovatore 2.0. Mi trovo a mio agio a lavorare con lui. Spero che si possa continuare. Insieme abbiamo fatto una proposta positiva e provocatoria allo stesso tempo. Credo che le possibilità di vedere approvata una legge del genere, siano pochissime. Ma abbiamo tentato di far vedere che cosa si può fare a legislazione vigente. Niente libro dei sogni, solo cose concrete. Passaggio di competenze dall’assessore al Presidente della Regione come in tutte le minoranze. Creazione di una Fondazione o Agenzia perché non se ne può più fare a meno. Registro dei volontari, operatori e insegnanti. Soldi veri, non virtuali. Almeno 3 milioni all’anno di investimento per cominciare. Una legge per codificare, una volta per tutte, la Lsc come lingua scritta ufficiale. E tante altre cose di buon senso. Dimostrino che ci sbagliamo su di loro. Approvino la legge. E la finanzino soprattutto. Saremo contenti di essere smentiti e li applaudiremo perché non ci interessano le carriere personali ma la causa.

Nell’ultimo triennio sono stati pubblicati, fra i vari, alcuni testi fondamentali in tema di lingua sarda ed autogoverno, tra cui il suo libro dal titolo “Il sardo. Una lingua normale”, dal grande successo commerciale, con una fondamentale disamina della storia del movimento linguistico isolano. E “L’indipendentismo sardo”, curato dal sottoscritto, che da aprile ha raggiunto la prestigiosa Columbia University di New York, ed in tema di lingua sarda ha introdotto una griglia per argomentarne i principali vantaggi economici, politici e sociali. Ma quali sono oggi i maggiori luoghi comuni per cui i sardi hanno una cattiva impressione della propria lingua?

I due libri sono in parte simili perché hanno la vocazione a razionalizzare due mondi distinti, ma che hanno tanti punti in comune. Il mio libro l’ho scritto per un estremo gesto di onestà verso la politica. In sostanza dicevo “Guardate che se non vi liberate dalla visione accademica della lingua, nessuna politica linguistica sarà possibile”. Qualcuno dice che il libro mi sia costata la direzione. Io non lo so, ma solo il fatto che ciò si possa pensare suggerisce che in Sardegna c’è qualcosa che non va nel rapporto tra élite, questione della lingua e libertà di pensiero. Quando si decide di sacrificare una professionalità che ci sono voluti decenni a costruire, invece che piegarla e usarla a proprio vantaggio, beh…allora siamo messi male come classe dirigente. Ecco penso che al di là di stereotipi e luoghi comuni della lingua di cui abbiamo conversato tante volte in occasione dell’uscita del libro (e che si possono recuperare in rete) penso che il pregiudizio più grande che impedisce al sardo di essere una lingua normale sia proprio quello dell’inadeguatezza della nostra classe dirigente. I nostri politici pensano, anche se non lo dicono, che non valga la pena combattere per la lingua sarda. Grazie alla polverizzazione dialettale, alla museificazione, alla reificazione poetica mielosa, alla folclorizzazione da festa paesana della nostra lingua nazionale, i politici non ci credono, e spesso fanno solo finta di fare qualcosa. Mentono. Accompagnano l’eutanasia di una lingua.

Per fortuna non tutti, ma la maggior parte.

Il nostro vero dramma è che si occupano della lingua solo quando ne hanno l’obbligo istituzionale, né prima e né dopo. Mentre noi, incarico o no, siamo sempre qui a lavorare con il Consiglio d’Europa e le proposte di legge, loro terminato l’incarico spariscono e non li vedi né li senti più. Ma il problema vero della politica linguistica è solo uno: limitare i danni che questi pessimi amministratori provocano nel momento in cui sono in carica.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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