Finanza: Fra Sardegna e BCE. Draghi avvia ‘italianizzazione’ dell’euro

Di Adriano Bomboi.

Mentre la Sardegna assiste impotente allo sfratto dell’azienda Spanu di Arborea, perseguita dallo Stato per un debito di modeste dimensioni, il movimento Sardigna Natzione denuncia questo ennesimo atto di barbarie contro la proprietà privata. Nel frattempo a Francoforte succede qualcosa di ben più sinistro, perché la rapina delle autorità a danno dei contribuenti ha assunto dimensioni colossali: la Banca Centrale Europea impiegherà 60 miliardi di euro al mese (per un importo finale di circa 1000 miliardi), finalizzati ad acquistare titoli dei Paesi dell’eurozona (limitatamente alla quota degli Stati membri), una manovra che espone la “nuova strategia” della BCE targata Mario Draghi.
Il cosiddetto “quantitative easing” mira ad introdurre liquidità nel sistema per salvare le finanze degli Stati più esposti alla crisi e capaci di trascinare al ribasso i propri partner. Si tratta di una misura di espansione della politica monetaria tipica del modello keynesiano. L’obiettivo insito nella BCE appare pertanto quello di stimolare bassi tassi d’interesse (magari positivi nel breve termine), ma drogando la spontaneità del mercato, e sviluppando una maggiore inflazione per agevolare export e consumi (determinata proprio dalla maggior presenza di liquidità immessa nel sistema). Negli USA l’adozione di bassi tassi d’interesse portò alla crisi dei subprime, mentre la politica svalutativa adottata dallo yen ha condotto ad analoga crisi del Giappone. Inutile ricordare ai lettori il paradigma economico del racconto della finestra rotta introdotto da Frédéric Bastiat e sapientemente argomentato da Henry Hazlitt, esponente della scuola austriaca: il beneficio di stimolare la domanda sottraendo preventivamente denaro a qualcun altro crea una fittizia risposta del mercato, tale per cui si alimenta l’illusione di aver realmente prodotto ricchezza (per altri versi si tratta della stessa logica che nel suo piccolo starebbe compiendo la Giunta Pigliaru nel chiedere un mutuo di oltre mezzo miliardo di euro da sprecare in interminabili e assistenziali opere pubbliche).

Ma che ne sarà dell’euro? La corsa verso la svalutazione tramite un interventismo pubblico che finisce per alimentare il deficit è la classica strategia adottata per decenni dalla lira italiana (e oggi variamente sostenuta dai promotori della cosiddetta Modern Monetary Theory).
Dunque perché avere dubbi sull’italianizzazione della politica monetaria europea? Essenzialmente perché l’errore consiste nell’assegnare alla sola politica monetaria – e non alla competitività – la capacità di risolvere la crisi, in quanto globalmente, da continente a continente, questa presenta fattori diversi. Uno di questi riguarda l’asimmetria istituzionale dell’Europa, in cui, a differenza degli USA, le curve dei costi e dell’inflazione presentano parametri differenti. Ciò accade perché Washington ha lavorato maggiormente nell’apertura del mercato del lavoro, dei beni e dei servizi, mentre l’Europa (stando al mito di chi vorrebbe omogeneizzare interessi diversi da Stato a Stato), non presenta questa caratteristica (in particolar modo l’Italia). Appaiono quindi fondate alcune obiezioni della Germania sulla nuova politica monetaria UE, che si risolverà come un mero palliativo se i maggiori Stati socialdemocratici non avvieranno quelle riforme per migliorare la competitività, e che comprendono la riduzione della spesa pubblica, con meno tasse e meno burocrazia.

In sintesi, la linea di Mario Draghi rappresenta un assegno scoperto a favore del governo italiano*, o meglio, una cambiale ottenuta in cambio della promessa di riforme che difficilmente andranno in porto (perché a Palazzo Chigi l’assenza di liberali fa presagire che fra destra e sinistra si punterà a prendere tempo per avere la botte piena e la moglie ubriaca).
L’Italia non è competitiva perché è una Europa in miniatura, mentre l’Europa non è competitiva come altre aree continentali perché è un’Italia di grandi proporzioni (ultimamente il dirigismo di Bruxelles, non inferiore a quello dell’ex Unione Sovietica, è arrivato a sanzionare i vongolari “colpevoli” di pescare mitili oltre il millimetro consentito).

Più articolata la valutazione sulla piazza dei cambi, che richiederà tempo per valutarne tutti gli effetti, ma che non sarebbero tutti negativi: alla lunga la decisione svizzera di sganciare il cambio minimo del franco con l’euro, nonostante lo shock iniziale, stabilizzerà – come sta già avvenendo dopo l’annuncio del quantitative easing – i flussi di capitali fra Berna e l’eurozona. Perché non conta solo la quantità, cioè le dimensioni di un’area economica, ma la qualità.

* Dopo la Grecia, l’Italia viene considerata fra i Paesi più a rischio della zona euro di area mediterranea.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.