Alto Adige e Veneto riscriveranno lo Statuto. E la Sardegna? Ecco qualche idea

La notizia non è di poco conto: il principale partito dell’Alto Adige ha annunciato l’avvio di un gruppo di lavoro che nei prossimi mesi si occuperà della riscrittura dello Statuto Autonomo. Si tratta di vero sovranismo. Il segretario dell’SVP Richard Teiner, pur consapevole dei buoni risultati ottenuti finora dall’attuale Statuto, grazie alle pressioni degli indipendentisti, ha riconosciuto l’esigenza di dare maggior sovranità alla propria comunità. Anche il Veneto, sulla base della proposta di un referendum sull’autodeterminazione proposto da Indipendenza Veneta, ragionerà, non sulla semplice riscrittura dello Statuto (essendo Regione a Statuto ordinario), ma sulla capacità di estendere la propria sovranità (vedere anche Intervista ad Anna Durigon di I.V. – Sa Natzione, 01-04-13). In un solo anno i Veneti hanno fatto il lavoro che i nostri indipendentisti non fanno da dieci, e non tanto per il consenso del movimento lagunare, che rimane contenuto, ma per la sua capacità di influenza rispetto alla politica regionale, in cui gioca un ruolo l’amministrazione leghista.

E i Sardi? Eccetto Fortza Paris, nessun movimento autonomista e indipendentista Sardo ha finora posto la riscrittura completa della nostra Autonomia in cima al proprio programma politico. Paradossalmente, proprio il MERIS di Meloni risulta più intraprendente rispetto all’insieme dei movimenti Sardi che ritengono di portare avanti una battaglia più pragmatica per la conquista della sovranità. Ma per l’ordinaria amministrazione abbiamo già i partiti italiani.

In Sardegna c’è un aspetto che ci fa capire quanto i nostri movimenti non abbiano mai seriamente ragionato sulle riforme istituzionali, né su quelle per i rapporti esteri e con lo Stato, né sul fondamentale tema del federalismo interno (di cui si era in parte occupata anche la Commissione Autonomia della Regione). L’aspetto riguarda la nuova legge regionale n. 542 del 30 luglio 2013, inerente i terreni demaniali, il cui vincolo di controllo per gli usi civici passa in mano ai Comuni. Stefano Deliperi del Gruppo di Intervento Giuridico ha prontamente definito la legge come un nuovo “editto delle chiudende”, mentre svariati indipendentisti si sono immediatamente allineati a questa considerazione senza le dovute riflessioni del caso. Ma prima di fare queste riflessioni è opportuna una piccola premessa storica.
Sapete, uno dei più celebri saggi politici dell’ottocento è stato “La Democrazia in America” di Alexis de Tocqueville. Questo testo era importante, e non solo perché parlava dei “neonati” USA, ma perché introduceva una serie di riflessioni sulla democrazia e sul federalismo che sono diventati una pietra miliare del pensiero liberale e di chiunque si batta per il tema dell’autogoverno locale. Da una parte si inquadrava un aspetto negativo della democrazia, quello per cui l’eguaglianza generale dei singoli in qualità di forza pubblica aveva creato una società mediocre e conformista, dove il populismo senza riflessione si era sostituito alla ragione, una nuova forma di dispotismo. Dall’altra si era compreso che il federalismo aveva assunto il ruolo della responsabilizzazione localistica e aveva arginato la mediocrità della maggioranza a danno delle singole sensibilità locali. Constant ebbe analogo intendimento, il potere assoluto che Rousseau attribuiva alla volontà generale non poteva esistere, poiché in un sistema rappresentativo, senza una opportuna distribuzione del potere, l’ideologia di pochi, nascosta dietro la retorica del “bene comune”, avrebbe stritolato l’individuo ed ogni minoranza soggetta al volere della maggioranza (De la souveraineté du peuple et de ses limites, 1815).
Certo, oggi sappiamo che è solo il capitale sociale l’elemento di determinazione della qualità del buon governo. Infatti in Sardegna sta succedendo l’opposto, Deliperi ha giustamente fatto notare che il potere della sclassificazione dei terreni demaniali in mano ai Comuni cela il volto della speculazione edilizia e di quanti vogliono sanare irregolarità varie commesse in aree ambientalmente vincolate. Tuttavia, bisogna anche considerare che in numerosi casi si deve proprio ai privati e non alla Regione la cura dei terreni, preservandoli pure dal rischio incendio, e che inoltre prima della legge n. 542 (in cui comunque si ravvisano profili di incostituzionalità) Cagliari si arrogava il diritto di decidere in vece dei Comuni.
In Svizzera i Cantoni decidono persino sulla politica estera, mentre i Comuni sugli ordinamenti cantonali, le Province non esistono. E allora quali riflessioni e quali domande deve porsi un indipendentista? Forse basta solo la seguente: come coniugare la tutela ambientale al principio dell’autogoverno comunale? Insomma, come aumentare la responsabilizzazione che deriva dall’esercizio diretto del governo? E’ chiaro che la risposta a questa domanda, oltre a rendere necessaria una prospettiva formativa, apre una serie di riflessioni sulla nostra sovranità che solo un percorso di riforme istituzionali può sanare, ad esempio immaginando un arretramento costituzionale delle competenze statali, amplificando invece quelle regionali (da concordare coi Comuni). Il concetto è che dobbiamo disegnare istituzioni che sappiamo decidere per la sfera di competenza in cui ricade la loro immediata potestà geografica, con adeguati contrappesi affinché si evitino potenziali abusi ambientali (che già a suo tempo osservò Gianfranco Pintore), ma evitando che poteri superiori (in questo caso Roma e Cagliari) debbano sempre e comunque sostituirsi alle amministrazioni locali per la gestione del territorio. Perché nel caso non fosse chiaro, lo sviluppo del federalismo interno, unito ad una razionalizzazione normativa, è anche una condizione propedeutica per lo sviluppo di una equilibrata politica ambientale, che oggi evidentemente non esiste (vedere Biolchini e Giorgioni).

Ci riusciremo? Con questo indipendentismo non sarà affatto semplice, perché dai tempi di Simon Mossa non ha fatto molti passi avanti rispetto a queste concettualizzazioni teoriche. Che i Comuni Sardi richiedano più spazi di manovra è del tutto legittimo. Nel 2013, nonostante il fallimento della Provincia della Gallura, questa comunità rimane alla ricerca di una politica capace di esaltare il territorio rispetto al potere cagliaritano (pensiamo alla nascita del movimento Nuova Repubblica della Gallura). Una riforma proposta dagli indipendentisti potrebbe occuparsi anche della risoluzione di queste singole sensibilità territoriali. Ad esempio nella Regione Autonoma del Trentino/Alto Adige-Sudtirol esistono le Province Autonome di Trento e Bolzano (anch’esse costituzionalmente riconosciute). Consideriamo che l’Alto Adige è demograficamente inferiore alla Sardegna, anche in questo caso le minoranze linguistiche giocano un ruolo fondamentale nella suddivisione dei poteri nel territorio. I principi del modello istituzionale a cui dovremmo lavorare dovrebbero assegnare al Comune il ruolo di protagonista amministrativo della Regione, capace di unirsi ad altri Comuni su determinati servizi. Mentre sul piano della rappresentatività la politica Sarda nella legge elettorale dovrebbe capire che le singole minoranze linguistiche dell’isola, rispetto al Sardo, devono avere voce.
Inoltre, in campo economico, il nostro federalismo interno dovrebbe richiamarsi al principio della “nullificazione” proposto in passato da John Calhoun (U.S. Senate), secondo il quale i singoli territori hanno il potere di annullare qualsiasi provvedimento statale lesivo dei loro interessi. Il principio esiste già all’art. 51 dello Statuto Autonomo Sardo, ma dovrebbe essere esteso, con i contrappesi di cui sopra, anche verso i singoli Comuni Sardi.

Di Marco Corda & Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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