La replica di Pierpaolo Vargiu (RS) sul ruolo dei moderati Sardi. Con un commento

Scrive Pierpaolo Vargiu dei Riformatori Sardi in replica all’articolo Post-Monti: La confusione dei moderati Sardi attorno al programma di Montezemolo. A seguire un commento.

Risposta all’indipendentista Bomboi sul Manifesto per la Terza Repubblica.

Caro Bomboi,
massimo è il rispetto per le tue convinzioni, che oltre tutto rappresentano una minoranza liberale che mi piacerebbe fosse valorizzata nel panorama indipendentista sardo che, troppo spesso si orienta in modo viscerale e grossolano.
E’ ovvio che ci separa un discrimine fondamentale: personalmente mi sento sardo, italiano ed europeo, per cui svolgo il mio ragionamento da autonomista e non da indipendentista.
Da liberale, potrei limitarmi a ricordare che Giovanni Malagodi, negli anni ’70, preconizzava l’attuale situazione italiana, come logica conseguenza del disegno politico di pagare la coesione sociale attraverso il debito pubblico.
Il dramma è che il benessere relativo delle generazioni dei padri è oggi un debito che tocca saldare ai figli.
La coesione sociale italiana ottenuta alla fine del secolo scorso, rischierà di saltare in aria quando i figli rifiuteranno di fare i sacrifici richiesti per poter consentire un Welfare comodo ai loro genitori che già tanto hanno “goduto”, all’ombra della crescita del debito pubblico.
Hai ragione tu: Monti non ha fatto miracoli. Ha però evitato la Grecia (e anche la Spagna) con misure che hanno “mezzo salvato” l’Italia.
C’è ancora un percorso lungo da fare, che ha bisogno di “ricette liberali” che riescano a far ripartire la crescita del Paese.
E’ la speranza contenuta nel Manifesto per la Terza Repubblica che, pur con mille ragionevoli (e “liberali”) dubbi, mi sento di condividere nella sostanza e, sopratutto, nello spirito, che è quello di dare gambe alla voglia di “rivoluzione liberale” che oggi serve all’Italia.
Sono consapevole che questo Paese, che vive ancora le contraddizioni di una burocrazia più borbonica che austriaca e dei poteri di veto delle mille corporazioni che ne organizzano il corpo sociale, ha grandi difficoltà ad andare verso la svolta “liberale”.
I liberali sono ancora una minoranza in Italia, lo sono ancora di più in Sardegna, isola di socialismo reale, orgogliosa nei suoi principi e accattona nella sua realtà quotidiana, fatta di assistenzialismo, di clientelismo, di burocrazia stolida.
Ecco, è forse questo il senso del “pezzo di percorso” che un indipendentista liberale (come te), può senz’altro fare insieme ad un autonomista liberale, come me.
E’ il percorso per la liberazione della Sardegna da una cultura di dipendenza e di assistenza, che ne strozzano ogni possibilità di sviluppo futuro.
E’ il percorso della Sardegna verso una società “aperta” che ci aiuti ad indirizzarci verso l’autonomia economica che è comunque la precondizione indispensabile per qualsiasi forma di “autonomia” (anche la più spinta, che io non condivido…) politica.
E’ per questo che, dall’esterno, sono convinto che anche l’indipendentismo sardo sia destinato a “cambiare pelle” e diventare “più liberale” negli approcci, nelle ricette, nelle parole d’ordine.
Se non imboccherà una “strada più liberale”, sarà alto il rischio di incatenarsi ad un “sentimentalismo” rivendicazionista, vuoto nella progettualità, che non porta da nessuna parte e non è utile alla crescita della Sardegna.

Caro Vargiu,
la posizione dei liberali in questa Repubblica è effettivamente minoritaria, e non poteva essere altrimenti. Lo stesso Piero Gobetti, nella sua celebre rivista del 1922 – dunque ben prima di Giovanni Malagodi – si rese conto che le classi dirigenti di questo Stato riuscivano a tenere insieme le nostre istituzioni solamente facendo un uso spregiudicato del debito pubblico. Cioè attraverso la moltiplicazione della burocrazia, del ceto impiegatizio, delle aziende pubbliche e naturalmente del welfare, che dagli anni ’70 del ’900 ad oggi ha raggiunto dimensioni ragguardevoli. Un fenomeno accresciuto – non solo per le mutate condizioni demografiche – ma anche grazie all’influenza culturale del PCI e del socialismo italiano.
Moderati e liberali di conseguenza non si sono sempre mossi sullo stesso piano, a prescindere dalle varie declinazioni politiche e semantiche. Non a caso, la Democrazia Cristiana, partito che ha retto l’Italia neo-repubblicana per decenni, è stata proprio la palestra dentro la quale si è formata una cospicua dose dell’attuale classe dirigente. Una classe dirigente che in Italia come in Sardegna ha replicato i medesimi comportamenti di conservazione e di perpetuazione del potere. Clientelismi, assistenzialismi (e anche corruzione) sono stati gli unici strumenti possibili per tenere unita una nazione italiana che nella realtà si mostra invece diversa da territorio a territorio, sia culturalmente che economicamente. E probabilmente, se in epoca risorgimentale si fosse dato seguito alle osservazioni del federalista Carlo Cattaneo e di Giovanni Battista Tuveri, oggi le cose sarebbero diverse. Ma dobbiamo fare i conti con la realtà.
Non vedo tuttavia un Popolo Sardo che sgomita dietro al “socialismo reale”, è piuttosto un Popolo alquanto conservatore e dotato di una buona dose di conformismo, che purtroppo ben si sposa con quel modello di Stato di crispiana e giolittiana memoria. Un trend che può essere superato solo attraverso una riforma dello Statuto Autonomo, capace di fornire ai Sardi quegli strumenti di autogoverno e responsabilizzazione che proprio le forze centraliste hanno sempre osteggiato, sia per opportunismo, che per semplice ignoranza.
E’ anche in base a queste considerazioni che nacque la formula europeista e liberale di U.R.N. Sardinnya, certamente minoritaria nell’indipendentismo Sardo, ma, paradossalmente, quella che più ha influenzato diverse sigle politiche di questo ambiente negli ultimi 7 anni. Provengono infatti dal nostro gruppo alcune delle principali innovazioni che oggi fanno parte dell’indipendentismo attuale, e addirittura del sardismo contemporaneo (malgrado siano ancora lontani da ciò che noi auspichiamo).
Che dire quindi sul “Manifesto per la Terza Repubblica”? Che servirebbe un “Manifesto per il Federalismo”, ma risulta difficile trovarlo nelle formazioni politiche italiane che ieri come oggi seducono e allontanano i Sardi da una concreta visione autonomista della Sardegna. E’ questo è proprio uno dei limiti che contrassegnano l’autonomismo Sardo rispetto a quello di altre comunità autonome del nord Italia, per le quali il “rischio Grecia” viene secondariamente al rischio di omologazione linguistica, culturale e fiscale col resto della Repubblica.

Avremo certamente occasioni di dibattito attorno al comune interesse per la Sardegna.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    2 Commenti

    • [...] – La replica di Pierpaolo Vargiu (Riformatori Sardi), con un commento [...]

    • Caro Bomboi, nell’apprezzare il forte contributo ad una seri rivoluzione liberal- europea del movimento nazionanista sardo, utile ed opportuno strumento di ammodernamento civile e culturale della nostra regione, devo dissentire dalla sua critica alla presentazione del programma esposto nell’assemblea della società civile verso la terza repubblica.Tutti gli interventi che si sono succeduti nell’assise romana volgevano lo sguardo verso l’europa federale ed il federalismo sussidiario in forte contrasto con l’aborto federalista introdotto nella costituzione attuale e fonte di guai infiniti e di danni pressoché irreparabili senza una nuova fondazione dello stato.L’apertura verso un federalismo europeo, capace di stroncare l’attuale partitocrazia ed il predominio delle caste, mi è parso evidente e ritengo che, con tutti suoi limiti, il nuovo rassemblemant, a cui non vedrei estranea’sa natzione’ (oltre ai riformatori sardi)rappresenti l’unico fatto nuovo e dinamico per il cambiamento della situazione politica in Sardegna e in Italia.

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