La verità sull’embargo contro Cuba

L’embargo contro Cuba è la causa principale dei problemi economici dell’isola?

E in cosa consiste realmente?

Osserviamo i dati della bilancia commerciale cubana, che scambia abitualmente con tutto il mondo, USA compresi. E i contorni di una narrazione che, paradossalmente, spinge le sinistre radicali a chiedere la fine dell’embargo, per una maggiore apertura al libero mercato, alla globalizzazione, e in definitiva, al “capitalismo”.

Di Adriano Bomboi.

Tra i miti più longevi presenti nell’arena della politica internazionale abbiamo sicuramente quelli che riguardano l’embargo statunitense contro Cuba.

La narrazione più diffusa è che ai cubani sarebbe impedito qualsiasi commercio e che per tale ragione Cuba sarebbe costretta ad affrontare notevoli difficoltà economiche e sociali.

Ma quanto c’è di vero in questa narrazione?

Ben poco.

Prima di addentrarci nei principali provvedimenti legali degli USA a carico dei Castro, ricordiamoci che in realtà l’embargo americano riguarda principalmente, e neppure in maniera integrale, il commercio bilaterale tra i soli Cuba e USA.

L’Avana è libera di commerciare col resto del mondo ed è ciò che avviene da sempre.

I dati OEC ci offrono un’esaustiva panoramica della bilancia commerciale cubana.

Dove e quanto esporta il regime castrista?

Al 2018, per il 37,7% in Cina, per l’11,2% in Spagna, per il 5,06% in Germania, per il 4,42% ad Hong Kong, per il 4,09% in Portogallo, per il 3,19% in Svizzera, per il 2,61% in Brasile e per l’1,36% in Italia, etc.

E da dove e quanto importa?

Al 2018, per il 19,7% dalla Spagna, al 18,5% dalla Cina, al 7,19% dal Messico, al 6,38% dalla Russia, al 5,58% dall’Italia, al 4,48% dalla Germania, e al 4,04% dagli USA (proprio loro), e da altri paesi.

Come potrete notare, Cuba commercia sia con paesi democratici che autoritari, europei e non.

Ma che cosa commercia?

Fondamentalmente, come tante economie scarsamente specializzate, esporta prodotti del settore primario e materie prime. Ad esempio tabacco, zucchero, liquori e nickel. Mentre importa di tutto, per quanto possibile, essendo un paese povero (persino pollame). All’epoca dell’URSS riceveva inoltre cospicui aiuti di vario genere per tenere a galla l’economia, che oggi viene incentrata anche sul turismo, principalmente controllato dallo Stato.

Le sanzioni USA inoltre non riguardano aiuti e/o supporti farmaceutici e paramedicali. L’Italia, e in particolare la Lombardia, solo per citare un dettaglio, esportano abitualmente apparecchi elettromedicali a Cuba, mentre l’intero paese ha esportato nell’isola beni per un valore di 332,3 milioni di euro (2015), in testa prodotti chimici e macchinari.

Ma veniamo all’aspetto storico e politico di questo embargo: le prime sanzioni partirono dall’epoca dell’amministrazione Eisenhower, nel 1958, e colpirono prevalentemente il regime di Fulgencio Batista nel comparto delle armi (per violazioni del Trattato interamericano di Rio, che vietava la vendita di armi per scopi offensivi). Successivamente, quando Castro rovesciò Batista, per aggirare l’embargo sulle armi, Cuba ricevette armi dall’Unione Sovietica, provocando di fatto un’escalation di misure e contromisure con gli USA. Washington infatti ridusse l’export verso Cuba e Cuba nazionalizzò progressivamente le imprese americane che sino ad allora operavano nell’isola. Ciò spinse l’amministrazione americana a varare il primo embargo commerciale, escludendo cibo e medicine.
La tensione proseguì anche con la successiva amministrazione Kennedy, che varò i principali divieti tutt’ora parzialmente vigenti nei rapporti commerciali tra USA e Cuba, emendando ed estendendo la portata delle sanzioni. Per esempio nel 1962, nel Foreign assistance act, o nel Trading with the enemy act. Un embargo che finì per riguardare tutti i prodotti cubani, il congelamento dei beni cubani negli Stati Uniti (che sino ad allora era il primo partner commerciale), e le restrizioni agli spostamenti.
Nella fattispecie, bisogna ricordare che le restrizioni agli spostamenti dei cittadini americani a Cuba sono terminate nel 1977, benché col divieto di effettuare dirette transazioni monetarie.

Negli anni Novanta, dopo il crollo dell’URSS, essendo venuti meno gli aiuti economici del blocco socialista verso Cuba, gli USA hanno tentato di dare un’ulteriore spallata al regime castrista nel tentativo di affermare la democrazia. Le rinnovate tensioni tra i due vicini-avversari hanno così portato al Cuban democracy act del 1992, e soprattutto all’Helms-Burton act del 1996.

Questi provvedimenti hanno cercato di estendere l’embargo a tutte le società straniere coinvolte nel commercio con L’Avana, ma non hanno mai trovato piena applicazione per l’opposizione della comunità internazionale.
Numerosi e singoli Stati infatti si sono opposti per poter continuare ad effettuare liberamente affari con Cuba (più tardi, UE compresa).
Inoltre, nel 2000, a seguito della protesta di imprese agricole col governo USA, l’amministrazione Clinton ha allentato i divieti per la vendita di prodotti agricoli verso Cuba ( Trade sanctions reform and export enhancement act).
Così, come evidenziato dall’Economist, la vendita di prodotti agricoli USA ha registrato volumi per oltre 600 milioni di dollari all’anno. E nei fatti, numerosi marchi americani sono comunque venduti a Cuba. Ad esempio in alcuni alberghi statali è possibile trovare Coca Cola prodotta in Messico, mentre in vari uffici sono presenti computer equipaggiati Microsoft.

Dal canto suo il regime cubano ha tentato timide liberalizzazioni, consentendo ai privati di avviare alcune attività commerciali, e persino di occuparsi di piccola ricettività (a grandi linee, l’equivalente dei nostri bed & breakfast).

In conclusione, l’economia cubana non è mai stata realmente stritolata dall’embargo americano, benché sicuramente l’annullamento del blocco porterebbe nuovi vantaggi, sia al popolo cubano che all’imprenditoria americana. La Camera del Commercio USA stima perdite per gli americani quantificabili in 1,2 miliardi di dollari all’anno.
Paradossalmente, oggi, quando si parla di Cuba, è proprio la sinistra radicale a chiedere con forza più libero mercato, e quindi “più capitalismo” (che in definitiva riguarderebbe i soli rapporti commerciali tra due paesi).

I deficit dell’economia cubana derivano essenzialmente dall’ideologia socialista imposta dal governo de L’Avana, per tre ragioni fondamentali:

1) la più ovvia, perché ha limitato e annullato la proprietà privata e il libero commercio al suo popolo, tagliando drasticamente le possibilità di incrementare e diffondere nuova ricchezza, impoverendo Cuba;

2) perché, come varie esperienze socialiste, ha tentato un approccio autarchico e per lungo tempo ha chiuso, come in un embargo auto-inflitto, la possibilità di importare prodotti esteri che potevano essere commerciati nell’isola. Ciò perché il regime temeva che il popolo cubano venisse “contaminato dall’ideologia consumistica”. Il risultato di questa autentica follia ebbe varie conseguenze (per lunghi anni, persino la scarsa diffusione di comuni elettrodomestici);

3) perché la perdita del suo primo partner commerciale, gli USA, è un prodotto della guerra fredda, in cui i Castro scelsero di allearsi al regime sovietico, danneggiando il proprio popolo e alimentando numerosi miti e narrazioni sull’embargo. Embargo che inoltre non ha mai impedito a Cuba di avviare politiche estere all’insegna del soft power (ad esempio costruendo una rete di alleanze nel terzo mondo, e segnatamente in America latina); mentre in patria alimentava il fossato tra ricchi e poveri. Ossia tra membri dell’élite politico-militare cubana, che ha sempre vissuto nell’agiatezza, e tutti gli altri, che hanno dovuto raccogliere il peso delle privazioni subite dal paese.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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