Saras perde investimento del Fondo sovrano norvegese

La Saras perde l’investimento del Fondo sovrano norvegese.

Mentre la politica sarda discute sul peso forma ideale del nuovo governatore, Oslo cancella la sua partecipazione nel petrolchimico di Sarroch.

Ma la vera notizia che dovrebbe riguardare i sardi è un’altra. Ed è alquanto seria.

Di Adriano Bomboi.

Come noto, pochi giorni fa il ricco Fondo sovrano norvegese (Norges Bank Investment Management) ha annunciato la dismissione della sua partecipazione da oltre un centinaio di aziende sparse nel globo. Nella fattispecie, quelle legate alla lavorazione di gas e idrocarburi. Non si tratta ovviamente di una scelta puramente ambientalista, in quanto le maggiori aziende del settore rimangono stabilmente nel portafoglio norvegese. Intoccabili infatti i colossi anglo-americani di British Petroleum ed Exxon Mobil Corp.

In altri termini, la Norvegia non rinuncia al petrolio ma sceglie di ridurre l’esposizione ai rischi del mercato petrolifero a cui potrebbero andare incontro aziende minori e dalle attività meno diversificate rispetto alle major del settore. Che significa esattamente?

Tra le aziende depennate c’è il petrolchimico sardo Saras, della famiglia Moratti. L’impresa infatti non estrae petrolio ma si limita a raffinare quello estratto da terzi. E in un mondo che si avvia a sviluppare investimenti sostenibili, la scelta politica è stata quella di tagliare “i rami secchi”, ossia quelli ritenuti più fragili, conservando i tronchi più robusti e capaci di sopravvivere alle tempeste.
Ovviamente ad oggi la Saras è un’azienda tutto sommato in salute e non bisogna escludere che (nel breve e medio termine) possa essere risparmiata dal piano di dismissioni annunciato dalle autorità norvegesi (del resto si tratta del 3,61%, pari a 66,4 milioni di dollari).

Il tempo, il mercato e gli esperti ci diranno se sia stata una scelta opportuna.

Eppure la vera notizia (già nota ai lettori esperti) che dovrebbe interessare intellettuali e politici sardi è un’altra. E riguarda una risposta ad una domanda molto semplice: in cosa investono i norvegesi?

Vediamo alcune tabelle e commentiamo.

Come i più attenti avranno intuito, questo portafoglio di investimenti presenta due caratteristiche essenziali: 1) è diversificato; 2) è orientato su imprese ad alto valore aggiunto.

Che cosa significa?

Che i norvegesi non si concentrano su un solo settore ma impegnano le loro risorse in attività molto diverse tra loro (limitando così i rischi che potrebbe attraversare un ambito in luogo di un altro). Inoltre la maggior parte delle risorse viene destinata a settori ad alta innovazione tecnologica (che garantiscono una maggiore crescita e competitività economica). E tutto ciò senza rinunciare ai tradizionali combustibili fossili.

Notiamo infatti ai vertici aziende quali Microsoft Corporation, Alphabet Inc. (cioè Google), Royal Dutch Shell Plc., ma anche Novartis AG (farmaceutica), Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. Limited ed Heidelberger Druckmaschinen AG (ingegneria e meccanica di precisione), solo per citarne alcune. Insomma, se i governi Chavez/Maduro avessero fatto più visite ad Oslo e meno a L’Avana, forse oggi i venezuelani, produttori di petrolio, starebbero meglio.

E i sardi?

Non solo non si adoperano per investire in formazione e alleggerire il peso del settore pubblico sulle imprese (unici step possibili per sperare di innovare ed essere competitivi), ma dilapidano milioni di euro per tutelare settori spesso inefficienti e a basso valore aggiunto (come quello dell’agroallevamento).

In sintesi, nel bene e nel male, sappiamo che ad Oslo c’è una classe dirigente sveglia, in grado di agganciarsi a quella parte del globo più virtuosa, con ottime prospettive future. Viceversa, a Cagliari c’è una classe dirigente che ha la straordinaria capacità di dormire anche in posizione eretta.

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Per chi volesse approfondire questi e altri temi, si consiglia il libro Problemi economico-finanziari della Sardegna (A. Bomboi, Condaghes, Cagliari 2019).

U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    5 Commenti

    • Dott. Bomboi, secondo lei i Moratti sono da ascrivere alla categoria dei prenditori?

    • Direi proprio di no. Pur con tutti i loro limiti, hanno creato una importante realtà aziendale che offre lavoro, ed in un settore particolarmente strategico.
      I problemi a limite derivano pure dalle classi dirigenti sarde, che non hanno mai valorizzato appieno per il territorio questa presenza.

    • Grazie per la risposta.
      Le pongo un altro quesito: il valore che Lei dice che i Moratti hanno creato e creano tuttora, tiene conto di tutti i costi derivanti dalla loro impresa? In altri termini, le aziende dei Moratti rispondono di tutti tali costi, così comunque residuando il valore che Lei gli riconosce?

    • Dare una risposta esaustiva a questa domanda richiederebbe uno studio approfondito. Ad oggi dobbiamo pure considerare, in un territorio dall’economia depressa, quale (o quante) alternative si sarebbero potute determinare in assenza della Saras. Io temo poche col contesto attuale. Buona serata.

    • Dott. Bomboi, grazie di nuovo della risposta che “utilizzo” per farLe gentilmente notare che così come i costi, anche il valore (che include anche le componenti positive – inclusi gli incentivi/contributi “finanziati” dai contribuenti – nonché per taluni anche gli eventuali beni intangibili prodotti) per poter essere dimostrato richiederebbe uno studio approfondito.
      E se quel valore fosse negativo (cioé se i costi tutti fossero maggiori delle componenti positive, distruggendo valore) e le imprese dei Moratti dovessero stare in piedi grazie al fatto che non rispondono di tutti i costi da essi generati ovvero grazie a contributi a carico di bilanci pubblici ossia dei contribuenti, allora i Moratti dovrebbero correttamente definirsi “prenditori”. Corretto?

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