I giovani emigrano e l’ass.ne Sardos si oppone ad una crescita degli alberghi

Turismo in crescita, nonostante trasporti esosi e insufficienti, con alberghi vecchi, non sempre carichi di prenotazioni, a fronte di tanti sardi che continuano ad emigrare per lavorare in hotel e resort internazionali. Mentre l’ass.ne “Sardos”, nata per innovare il dibattito politico, sostiene la conservazione: “stop a nuovi posti letto, non ci servono”, afferma il presidente Filippini.
Parole surreali che catalizzano l’attenzione di un romanticismo indipendentista allo sbando, candidato alla marginalità elettorale. Eloquente il suo spot, dove un ignoto poveretto si abbevera a terra, roba da far scappare tutti a gambe levate.
Commentiamo in breve, punto per punto, il suo comunicato in tema di urbanistica. Un esempio? All’estero le SPA utili in zone interne, con lavoro stabile e qualificato – Di Adriano Bomboi.

Ecco le parole del presidente dell’associazione “Sardos”, Alberto Filippini:

“Numeri alla mano, il comparto turistico sardo oggi non ha bisogno di nuovi posti letto, ma di virtuose politiche integrate per aumentare la percentuale di riempimento di quelli esistenti. Non ha bisogno di nuovo cemento ma di marketing internazionale”.

Numeri alla mano sappiamo che, nonostante il problema dei trasporti, il turismo è in aumento. E sempre numeri alla mano sappiamo che i giovani sardi stanno ancora emigrando. Inoltre, numeri alla mano, sappiamo che vari alberghi sono vecchi, privi di servizi (senza piscine, senza SPA, con camere piccole, neppure wi-fi, e tanti altri ritardi).

Dunque, di grazia, a cosa ci serve il marketing internazionale? Promuovere meglio il mare, i nuraghi e i culurgiones si deve fare ma non è sufficiente. Le cose buone & belle esistono anche altrove.
I turisti sanno già che non abbiamo numerose strutture adeguate, per questo trovano spazio nelle poche attrezzate esistenti, o direttamente verso località internazionali concorrenti alla Sardegna. Questo avviene perché non sappiamo incrementare la nostra offerta a fronte di una crescita della domanda.

Fortunatamente Filippini si è astenuto dal citare le seconde case, senza il cui mercato nero i numeri del nostro turismo e del commercio estivo sarebbero alquanto drammatici.
Ma con quale coraggio e soprattutto con quale argomentazione logica di tipo economico o sociale si può sostenere che non ci servano più posti letto se non si considera neppure il grado di obsolescenza della nostra industria ricettiva?

Voler colmare le prenotazioni di tali alberghi e poi opporsi a nuove cubature significa semplicemente invitare a non fare nulla. In termini economici significa “perdere progressivamente competitività”. Ossia continuare a perdere posti letto, altro che riempirli!
E a noi, cari sardi, non serve qualcuno che invita a non fare nulla, ci serve qualcuno che sappia prendersi delle responsabilità.
Mentre qui abbiamo timore di estirpare erbacce in favore degli alberghi, altrove stanno estirpando terroristi per riallineare alla crescita dei flussi di viaggiatori la loro capacità di attrazione turistica…

Filippini prosegue:

“Serve anche una manutenzione dell’esistente, un accordo ampio con le associazioni di categoria e gli ordini professionali per modernizzare il comparto delle costruzioni, indirizzandolo alle ristrutturazioni, all’efficientamento energetico, a una nuova cultura del bello, dell’armonico, del pulito”.

Questo passaggio sembra fatto su misura per le abitazioni private; con gli alberghi invece non c’entra proprio niente, per i motivi di cui sopra. Perché non dobbiamo ristrutturarli, il loro problema non è tanto quello di risparmiare sulla bolletta Enel, ma di avere clienti che gli consentano di pagare quella benedetta bolletta Enel.
Inoltre questa idea degli accordi con le associazioni di categoria finirebbe per trasformarsi nei soliti sussidi, assistenzialismo fine a sé stesso, inutile ai fini di una crescita strutturale del nostro sistema ricettivo.
Si determinerebbe la solita spesa pubblica in perdita, giustificata da una romantica retorica priva di solide basi economiche.

Ancora Filippini:

“Le SPA e i centri congressi sono spesso solo il cavallo di Troia per accedere a nuove volumetrie e non fanno automaticamente rima con l’allungamento della stagione turistica. I grossi hotel sulle coste, che pure sono tutti già dotati di centri benessere all’avanguardia”.

Cerchiamo di capire: a “Sardos” interessa più la destagionalizzazione o il tasso di occupazione? Io credo dovrebbe dare priorità al secondo perché le due cose non vanno sempre di pari passo.
“Sardos”, soprattutto, ha a cuore il tema dello spopolamento interno, e ci viene a dire che le SPA devono tenersele solo – e ripeto solo – quelli che le hanno già sulle coste?
E perché mai poi anche altri imprenditori non dovrebbero poter investire sulle coste?
Abbiate pazienza, ma questa teoria di non voler avvantaggiare i soliti finisce proprio per escludere tanti altri eventuali investitori e che potrebbero concorrere con gli operatori attuali, sia sul versante interno che su quello costiero (che infatti presenta strutture concentrate in determinate aree, a scapito di altre, con le relative sacche di povertà sociale in fila per emigrare).
Quest’ultimo aspetto è una delle più grandi vergogne di cui i nostri sociologi urbani stentano ad occuparsi, perché lo studio di questa asimmetria dovrebbe riguardare il loro mestiere.

Nel mondo le SPA si sono diffuse anche e soprattutto in zone interne, persino lontane da laghi e fiumi, come strumento per diversificare l’offerta alberghiera (e offrono lavoro stabile e qualificato, a differenza di un segmento massificato). Invece a Fonni, ad esempio, c’è un sindaco che si lamenta dello spopolamento e al contempo del “consumo del suolo” (confondendo case con alberghi). Una linea paradossale, dove al posto di invocare nuovi investimenti se ne auspica l’allontanamento.

Prosegue Filippini:

“Sardos invita le forze politiche a lavorare a un grande piano strategico che indichi una strada possibile per la Sardegna. Quale ruolo viene assegnato all’agricoltura, quale all’industria, quale ai servizi e quale al turismo? Quali sono le Politiche per le infrastrutture, per l’inclusione sociale e per la lotta allo spopolamento: con quali risorse, in quali tempi e con quali strumenti si intende portarle avanti? Un piano organico, come si fa nei Paesi civili, e non un disordinato bouquet di misure estemporanee, che sembrano rispondere più a interessi di pochi che non a un reale disegno di governo.”

Ecco lo spettro della pianificazione. Nei Paesi civili, a differenza di quanto detto, si pongono regole, non divieti, perché non si impedisce alle imprese di investire. Filippini espone la logica della programmazione per cui bisogna calare dall’alto, senza lasciare alla libera imprenditoria, la facoltà di stabilire la natura dello sviluppo di un territorio.
Questa logica, che “Sardos” ritiene alternativa rispetto al passato, è invece la stessa che generò la “Rinascita” degli anni ’60. Né più e né meno, con la differenza che si è passati da un estremo all’altro. Cioè dal voler fare troppo tutto insieme, tramite l’industria pesante, al non fare nulla, tramite un esasperato ambientalismo.

Noi non dobbiamo pianificare il mercato incrementandone i vincoli, pur vigilando sull’ambiente, dobbiamo liberalizzarlo. Quindi tutto l’opposto. Tutta un’altra cultura, tutta un’altra mentalità, tutta un’altra concezione. Serve equilibrio e pragmatismo.
Noi dobbiamo liberare la Sardegna dalla cappa di ostilità alle imprese.

Se la proposta culturale (o politica) di questa associazione non saprà affrontare questi problemi, allora “Sardos” non sarà un vantaggio per la Sardegna ma solo l’ennesima espressione della conservazione sociale di questa terra. E a cui sarà necessario opporsi.

Eloquente il suo spot, frutto della bislacca teoria decrescista, che peggiora il target elettorale della vecchia Sardegna Possibile, dove un ignoto poveretto si abbevera a terra, roba da far scappare tutti a gambe levate. Si spera verso una corrente realista dell’indipendentismo.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • Quallo proposto è il metodo di chi pretende di cistruire il tetto senza aver appurato previamente se fondamenta e muri portanti siano in condizione di reggerne il peso.
      Prima cementifichiamo, poi osserviamo le variazioni del fenomeno.

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