Statue sabaude? Spostarle non è uno scandalo

Di Adriano Bomboi.

Non è la prima volta che in Sardegna si parla di spostare, rimuovere o denominare ex novo monumenti e strade intitolate ai Savoia, la monarchia che in Sardegna si è adoperata per una “modernizzazione” di stampo coloniale, a base di massacri, spoliazione di risorse naturali e fiscalismo.

Tra le scorse iniziative, pensiamo ai blitz di Sardigna Natzione, od alla vecchia proposta di Giovanni Lilliu, in passato condivisa anche dal sottoscritto, di sostituire la statua di piazza Italia, a Sassari, con un monumento a cavallo di Giovanni Maria Angioy (certamente più decoroso della goffa statua di Vittorio Emanuele II°). Una scelta dunque che non atteneva unicamente ad argomentazioni storiche ma anche a puro gusto estetico di corredo urbano.
Oggi invece l’iniziativa dei professori Giuseppe Melis e Francesco Casula riguarda la volontà di spostare via la statua di re Carlo Felice situata nella piazza Yenne di Cagliari. Quest’ultima, per quanto esteticamente superiore al monumento sassarese, si è così trovata immersa in una piccola controversia culturale formata da vari filoni: abbiamo infatti indipendentisti consci della storia dell’isola, per i quali i Savoia non furono sicuramente monarchi da celebrare; poi intellettuali non indipendentisti tendenti a non mettere in discussione gli assetti politici attuali dietro la scusa della preservazione del patrimonio storico (ma nessun indipendentista, in stile ISIS, ha caricato di tritolo l’indesiderato monumento); infine il popolo, in particolar modo quello cagliaritano, che ignora la storia in quanto la scuola italiana non si è mai prodigata di narrare le vicende sabaude, e che in piazza Yenne vede solo un attaccapanni da cingere di bandiere durante le vittorie calcistiche del Cagliari.

Personalmente ritengo che esistano tematiche più interessanti di cui ci si dovrebbe occupare, e non credo all’utilità delle ormai numerose petizioni online che oggi riguardano anche il destino della statua. Ma ciò non toglie nulla al valore simbolico di un’iniziativa che ha evidentemente un profilo politico e che qualsiasi persona di buon senso dovrebbe sostenere, previa informazione dei cittadini e quindi senza estemporanee manifestazioni sotto al monumento.

Recentemente in Catalogna il sindaco non indipendentista di Barcellona ha scelto di rimuovere dall’aula del Consiglio il busto del re Juan Carlos (equivalente istituzionale della nostra presidenza della Repubblica), scatenando polemiche ma, a differenza del contesto sardo, trovando il sostegno di un popolo consapevole della propria storia.

Si tratta di scelte, tuttavia, che andrebbero meditate e solo successivamente sottoposte al verdetto di un referendum popolare. Eppure, ciò che dovremmo sicuramente condannare riguarda il feticismo di quanti, sulla scorta di una mitologia unitarista d’altri tempi, ritiene un delitto spostare in un museo o in un luogo secondario delle statue che a loro dire, come le tavole della legge di Mosè, non si potrebbero mettere in discussione.

La cultura non consiste nel preservare tale e quale, nel presente, un passato che incarna l’autorità costituita di un territorio, per di più influenzata da uomini morti secoli fa; la vera cultura consiste nella capacità di leggere il passato con spirito critico al fine di rappresentare le esigenze dei vivi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • Le statue dei tiranni, peraltro volute e innalzate da loro stessi o dai loro pretoriani ed ascari,ma certamente non dai popoli, si abbattono. Così è stato storicamente. Bene: che facciamo a fronte della statua di Carlo Felice, che ancora campeggia, in bella mostra, al centro di una Piazza della capitale della Sardegna? La lasciamo dove sta, perché ormai fa parte della storia e dell’architettura cagliaritana?

      Io penso di no. Nella storia non c’è niente di irreversibile. Né di intoccabile. Anche perché la storia non è necessariamente un processo razionale, come pensava e teorizzava il grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (ciò che è reale è razionale). Dunque oggi, se i cittadini cagliaritani e i suoi rappresentanti lo vogliono, si può decidere di “correggere” un ciclopico errore storico.

      Le statue i popoli le innalzano e le dedicano ai loro eroi, a sas feminas e a sos omines de gabale (alle donne e agli uomini di valore): non ai loro carnefici. Quella statua è un insulto, un offesa per l’intero popolo sardo ma soprattutto per le centinaia di vittime: di democratici sardi, impiccati, fucilati, condannati al carcere a vita, perseguitati. Solo perché combattevano per la libertà. Contro l’odioso sistema feudale e la tirannide di Carlo Felice, il peggiore fra i sovrani sabaudi. Egli infatti da vicerè come da re fu crudele, feroce e sanguinario (in lingua sarda incainadu), famelico, gaudente e ottuso (in lingua sarda tostorrudu). E ancora: Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappocco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo Raimondo Carta Raspi. Mentre per un altro storico sardo contemporaneo, Aldo Accardo, – che si basa sulle valutazioni di Pietro Martini – è Un pigro imbecille.

      Scrive il Martini (peraltro storico filo monarchico e filo sabaudo):”Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese, la reazione levò più che per lo innanzi la testa; co­sicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”.

      Rimuovere la statua di un tiranno significa dimenticare la storia? Sconvolgere l’architettura di Cagliari?

      Noi del Comitato proponiamo di “rimuovere” la statua per collocarla in un Museo: non di abbatterla. La riteniamo infatti un “manufatto”, persino con elementi di “bene culturale”, architettonico, scultorio. E’ dunque giusto che venga conservato e non distrutto. Ma non esibito. Esposto in una pubblica Piazza. Come fosse un eroe da omaggiare e non un essere spregevole, oggetto di sprezzo e ludibrio.

      Lo spostamento di quella statua, sarebbe un evento formidabile per l’intera Sardegna: innescherebbe processi di nuova consapevolezza identitaria e di autostima. E insieme – dato a cui sono estremamente interessato – potrebbe favorire la curiosità, il risveglio e l’interesse per la storia sarda.

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