Primarie: Nuovo flop PD e resurrezione sardista

Dobbiamo ringraziare Simone Spiga, perché le interviste di Cagliaripad alla riunione della rinata Forza Italia in Sardegna hanno dimostrato quale sia il grado di “autonomia” a cui sono sottoposti gli attivisti locali del centrodestra, e che alcuni di loro hanno ben sintetizzato nella frase “noi facciamo quello che ci dicono loro”. Ma in quanto ad acritica faziosità a sinistra non sono da meno, ci sono organi di stampa che hanno parlato di “trionfo” alle primarie del PD di Francesca Barracciu. Pensate, di fronte ad un milione e seicentomila Sardi, solo 51.496 volenterosi si sono recati alle urne per scegliere il candidato presidente del centrosinistra, un evidente tracollo di consensi. Alle scorse primarie per la scelta del leader del PD romano gli elettori Sardi furono circa 75.000. Possiamo dunque affermare che si è trattato anche stavolta di primarie di apparato, non c’è stata alcuna partecipazione popolare e nella maggior parte delle circoscrizioni il numero di firme ha superato quello dei votanti. L’apparato dunque scricchiola pesantemente ma tiene e si candida alla sconfitta elettorale. Consideriamo che spesso chi ha contribuito a firmare per sostenere la Barracciu lo ha fatto per amicizia o per parentela con chi si è materialmente attivato nel corso dell’estate per sostenere la sua candidatura, ma al momento del voto ha preferito disertare le urne, manifestando totale sfiducia verso il partito e verso la candidata.
Salvo mutamenti, questa nuova disfatta elettorale si pone in linea con un trend nel quale Mauro Pili (ex PDL-Unidos) potrebbe diventare il prossimo presidente della Regione, mentre la crisi del Governo potrebbe far coincidere le elezioni politiche con quelle regionali, con tutto ciò che comporterà in campagna elettorale.

Che riflessioni trarne in un ottica politica nazionalista? Probabilmente la competizione del 29 settembre ha lasciato due cadaveri sul terreno: il primo è naturalmente il PD, che non essendosi aperto oltre le proprie fila, ad esempio verso la candidatura di Paolo Maninchedda, ha completamente mancato l’opportunità di coinvolgere ampi settori della popolazione verso una proposta riformistica; il secondo è il conservatorismo sardista, quello in cui si è preferito sostenere la Barracciu in qualità di scadenti comprimari piuttosto che sostenere Paolo Maninchedda da validi protagonisti, prima che questi lasciasse il Partito Sardo d’Azione. Anzi, prima che “venisse suicidato” dai suoi stessi ex colleghi (come si usa dire nell’intelligence quando si liquida qualcuno).
In un contesto simile e di fronte alla non impossibile vittoria del centrodestra, i conservatori sardisti avrebbero anche potuto valutare l’ipotesi di preservare l’alleanza con la disastrosa Giunta Cappellacci, dopotutto, una forte componente del PSD’AZ, a differenza del restante indipendentismo, ha un voto relativamente strutturato, munito di appendici clientelari nel territorio e quindi del tutto diverso dal semplice voto d’opinione di movimenti come Sardigna Natzione. Ma non tutto è perduto, se per il momento la nostra idea di Partito Nazionale Sardo è ancora lontana dal trovare un giusto compromesso fra azione pratica e tensione ideale, dalla sezione sardista oristanese è arrivata una proposta che da anni dentro U.R.N. Sardinnya abbiamo sempre sostenuto: le primarie. Nella galassia indipendentista e autonomista la proposta è strumentale alla necessità di ridurre il frazionismo che compromette la credibilità della sua azione politica, e positiva per la capacità di individuare la miglior candidatura possibile da offrire all’elettorato. In questi termini le consultazioni si differenzierebbero anche da quelle del PD proprio per l’apertura che dovrebbero contraddistinguerle. Siamo pertanto d’accordo con l’iniziativa del gruppo “Simon Mossa” di Angela Loi ed altri, mentre da tale proposta riteniamo vada dissociata l’idea di indire un referendum per l’autodeterminazione, in quanto, per quest’ultima ipotesi, su cui tutti concordiamo, come già affermato nel gennaio 2012, pensiamo che il politico indipendentista dovrebbe uscire dall’ottica dirigista e comprendere che solo il popolo può essere l’artefice della propria indipendenza. Sulla base di questa considerazione è chiaro che prima di tutto i nostri indipendentisti dovrebbero avere il compito di sviluppare capacità di governo ed effettuare delle riforme, e solo successivamente proporre tale referendum. Il caso Sardo infatti è diverso da quello scozzese e catalano, dove è stato già avviato da tempo un processo riformistico, e diverso da quello veneto, dove a differenza nostra anche la politica centralista è stata parzialmente coinvolta nel tentativo di promuovere una consultazione popolare sull’autodeterminazione. Come il sardista Franco Piretta riteniamo che il PSD’AZ, per quanto spogliato del suo originale ruolo-guida del nazionalismo Sardo, possa rappresentare ancora un punto di riferimento nel mondo autonomista e indipendentista. D’altra parte immaginare un PSD’AZ come incubatore di un PNS è una idea che non nasce da Maninchedda ma da U.R.N. Sardinnya fin dagli anni 2007/2008, per tornare all’originale ideale sardista dei padri fondatori. Tuttavia, a differenza ad esempio di Piretta e dell’iniziativa del Laboratorio Gallura, non riteniamo che la collaborazione fra indipendentisti nasca solo dalla convergenza di intenti fra i diversi vertici indipendentisti, ma dalla necessaria fusione fra alcune sigle. Che tale processo costituente possa essere attivato da delle primarie dipenderà solamente dall’eventuale adozione di questa forma di esercizio della democrazia, che oggi è tutt’altro che scontata, in quanto i vertici sardisti hanno interesse a scegliere in modo del tutto autonomo le loro candidature, mentre il restante indipendentismo teme le primarie poiché buona parte dei leader attuali perderebbero il proprio angolo di protagonismo (pensiamo ai vari annunci di presunti “fronti unitari”). Perché dunque parliamo di futura fusione? Proprio perché le differenze fra alcuni movimenti non hanno origine politico-programmatica ma personalistica, e federare contenuti identici non ha alcun senso pratico e politico. Si tratta di un processo di convergenza che potrebbe durare anni, ma su cui siamo estremamente fiduciosi. L’iniziativa oristanese potrebbe essere un buon punto di partenza e di riflessione, a prescindere dal grado di accoglimento interno al partito. Da troppo tempo i sardisti non effettuano proposte per riformare la propria struttura politica, per non parlare dell’inadeguatezza di questa nel raffronto con i moderni mezzi di comunicazione. Pensate che solo nel 2013 il partito ha deciso di dotarsi dell’ennesimo sito web ufficiale, mentre un tema come la zona franca (che il sardismo ha storicamente contribuito a diffondere) è stato recepito e riaccolto tardi e male a fronte di un diffuso interessamento popolare che ne ha distorto gli obiettivi, accrescendo persino il consenso di una parte del centralismo regionale. C’è ancora molto su cui lavorare, ma un aspetto è certo: l’insipienza dei nostri politici indipendentisti consente di bruciare molte opportunità di ricambio della classe politica. Ad esempio, ben difficilmente l’indipendentismo riuscirà a capitalizzare politicamente gli avvisi di garanzia per peculato che in queste ore sono giunti in Regione a vari politici centralisti di destra e sinistra. Ma i sardisti…

Fortza Paris? Vedremo.

Di Adriano Bomboi & Marco Corda.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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