Capitalismo malvagio? Il dumping PAC-UE alla base del tracollo agricolo nel terzo mondo

In economia si chiama dumping, è il fenomeno della vendita sottocosto di un prodotto in un determinato mercato. Ciò alimenta una concorrenza sleale nei confronti di altri produttori e dei Paesi che si occupano della produzione della stessa fascia di prodotti. Tutto questo ha un risvolto anche nelle drammatiche morti dei migranti del mare che nelle ultime settimane hanno lambito le coste italiane. In Africa, così come in altri Paesi attraversati da conflitti, si emigra verso le aree ricche del pianeta a causa dei disagi economici della propria terra natia. Varie e concomitanti sono le cause di questi ritardi, sia per responsabilità interne ai Paesi del terzo mondo, sia per responsabilità internazionali. E’ opinione comune credere che il “capitalismo” (spauracchio buono per tutte le occasioni) sia alla base di questo divario fra i Paesi sviluppati e quelli economicamente arretrati, ma, contrariamente ai luoghi comuni, ad esempio nel comparto agricolo, ciò è determinato prevalentemente dalle politiche stataliste e socialdemocratiche (e di orientamento popolarista-democristiano) sorte in seno ai maggiori Stati industrializzati, fra cui l’intera Unione Europea. Qual è il nesso e quale percorso ci ha condotti fino a questa situazione?
Alle origini della politica comunitaria emerse una tendenza neo-keynesiana ed interventista sulla base della quale si riteneva di armonizzare e salvaguardare le produzioni degli agricoltori europei. Bisogna tenere conto che l’orientamento seguiva le esigenze dell’Europa post-bellica, dove la sicurezza alimentare e la volontà di accumulare grandi scorte dei prodotti della terra veniva inquadrata come uno dei pilastri fondativi del futuro assetto comunitario. Una linea che ha parzialmente premiato i suoi promotori fino agli anni ’70, quando l’accrescersi di altri Paesi meno sviluppati, unitariamente alle loro produzioni, ha generato una saturazione del mercato, dove l’offerta ha superato la domanda. A questo punto la politica comunitaria europea si orientò sempre più nella difesa della propria capacità produttiva (malgrado alcuni effettivi distorsivi interni), ponendosi in termini aggressivi verso l’esterno.

La PAC fornisce abitualmente dei sussidi ai maggiori produttori europei, i quali possono così vendere sottocosto verso mercati extra-UE, ed a prezzi assolutamente competitivi anche verso le aree interne più deboli dell’UE. Bisogna ricordare che per il pensiero libertario il dumping non è necessariamente un reato, perché un produttore ha il diritto di vendere al prezzo che ritiene opportuno pur di conquistarsi un mercato (W. Block, 1976), ed altrettanto nefasta sarebbe l’idea di estendere la legislazione antidumping tornando alla logica dei dazi. Il discorso cambia profondamente se tale dumping viene effettuato grazie ai soldi dei contribuenti ed a svantaggio degli stessi in qualità di consumatori, ma anche come produttori. Nel nostro caso in agricoltura.
Pensate che più di metà della popolazione mondiale dipende dal settore primario. Sul versante extracomunitario si sono create situazioni come quelle della Giamaica, dove nel 2000 il 67% del latte importato era di provenienza europea, mentre numerosi produttori locali vennero ridotti sul lastrico e costretti a gettare via le proprie produzioni (circa 500.000 litri fra 1998 e 1999). O pensiamo a casi come quello della Nigeria, dove costa meno importare carne inglese e tedesca, mentre in Ghana il concentrato di pomodoro italiano costa cinque volte meno quello locale (col paradosso che spesso la manovalanza italiana nella filiera del pomodoro è offerta anche da tanti migranti ghanesi).
Ma persino lo statalismo asiatico oggi danneggia l’Africa, ad esempio attraverso l’invasione del riso, più economico rispetto a quello prodotto in vari Stati africani.
Drogare con i sussidi i nostri agricoltori ha inoltre incrementato la tendenza dei Paesi sottosviluppati ad orientare la produzione verso i biocarburanti, pure per compensare i prezzi elevati a cui vari Paesi del terzo mondo non possono fare fronte, ed esponendosi così alla deriva del land-grabbing, dove sterminate distese di terra finirebbero destinate unicamente al settore energetico, sottraendo ulteriormente risorse all’alimentazione. Un problema che neppure il “disinteressato” G20 tenutosi a Parigi nel 2011 ha saputo affrontare, pur avendo in agenda queste specifiche vertenze.

Sul versante interno ai Paesi che utilizzano forme di sussidio al settore agricolo, ed in particolare nel nostro contesto europeo, vanno considerati gli effetti nocivi dell’assistenzialismo, dove i vantaggi finiscono in mano ai grandi produttori (anche maggiormente tutelati in sede UE, a differenza, ad esempio, dei produttori Sardi). Si crea così una spirale in cui viene premiata l’importazione dai produttori più grandi; si determina un abbandono delle terre; la “proletarizzazione” della manovalanza extracomunitaria (in Sardegna la magistratura ha già registrato vari casi di schiavismo), ed un export limitato a poche realtà aziendali, la cui politica gestionale ed organizzativa ha consentito di ottenere una valida performance (pensiamo al consorzio 3A di Arborea o all’agroalimentare Cellino).
Si stima che dei circa 45 miliardi di euro annuali della PAC – circa la metà del budget UE – finisca per buona parte ai grandi produttori, non di rado a gruppi aziendali estranei alla produzioni agricole, oltre alla rete burocratico-sindacale dei singoli Paesi membri, mentre ai piccoli produttori, che costituirebbero il 40% dell’intero comparto agricolo del vecchio continente, arriverebbe solo l’8% dei sussidi. Un sistema che mediamente costa 10 euro ad ogni contribuente e circa 23 ad ogni nucleo familiare. Una realtà dunque che non premia l’eccellenza e la produttività ma si risolve unicamente a vantaggio di pochi, con vari livelli di svantaggiosità per tutti gli altri, consumatori inclusi, spesso costretti a pagare la quantità al pari della qualità.

Alla politica, se ne avessimo una degna di definirsi tale, spetterebbe il compito di riportare l’agricoltura dentro i canoni di un libero mercato, eliminando ogni politica assistenziale, defiscalizzando il costo del lavoro e dell’energia, e creando così le condizioni affinché il mercato stesso premi la cooperazione e gli investimenti di qualità, a tutto vantaggio del virtuosismo. Per arrivare a questi obiettivi in Sardegna abbiamo bisogno di una politica che ci conduca alla sovranità, perché si tratta dell’unico strumento con cui potremo esercitare la nostra leva fiscale e far sentire la nostra voce in Europa.
Tutto ciò probabilmente non gioverebbe solamente alla nostra economia ma anche alla nostra coscienza di europei, che troppo spesso si limita ad esprimere pietà per la morte di tanti sventurati migranti, piuttosto che approfondire le cause che li spingono a raggiungere le nostre coste.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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