USA: Il Texas in fermento, arriva l’indipendentismo

Importanti novità nell’America settentrionale: nuove forze indipendentiste si apprestano a cavalcare le esigenze dei cittadini. Non è più solo il Canada ad ospitare movimenti indipendentisti, né i soli USA in rapporto alle proprie minoranze nazionali sparse all’interno della federazione, stavolta è una parte della federazione stessa che ha lentamente maturato la voglia di nuova autonomia dal Governo di Washington, sebbene i suoi principi siano diversi rispetto ai fondamenti storici che mossero l’Unione Statunitense a cavallo fra ’700 e ’800, quando proprio la voglia di libertà e di interessi condivisi fu il collante che portò alla federazione.
Georgia, Louisiana, Arkansas e Oregon sono solo alcuni degli Stati che hanno iniziato a riflettere sull’utilità di nuove forme di autonomia in seno alla federazione, mentre nel Texas, il secondo Stato più grande degli USA, tira aria di indipendenza. Il movimento nazionalista Texano, seppur minoritario per consensi, sta attirando molti simpatizzanti e secondo il fondatore trentanovenne Daniel Miller, il più grande obiettivo dei loro programmi sarà quello di creare una repubblica indipendente, da perseguire pacificamente e legalmente con un referendum, perché i Texani devono poter decidere del proprio futuro e l’indipendenza dello Stato sarebbe l’unica soluzione per la sopravvivenza del popolo rispetto alle politiche di Washington. Lo stesso governatore repubblicano dello Stato, Rick Perry, nel 2009 si era espresso a favore della soluzione indipendentista.
I nazionalisti evidenziano il malcontento generale dei Texani, sottoposti ad una elevata pressione fiscale, al finanziamento di operazioni militari in Paesi lontani da parte del Pentagono, ed agli sprechi dei fondi pubblici per salvare le banche, con conseguenze disastrose per l’accesso al credito dei privati cittadini, per la caduta dei prezzi delle case, per la riduzione dei fondi pensionistici e per la mancanza di nuovi posti di lavoro.
Un sistema inaccettabile anche secondo il professore di economia Thomas Naylor, recentemente scomparso, a capo del movimento per la seconda Repubblica del Vermont, che parlò della perdita di autorità morale dell’attuale Governo degli Stati Uniti, ormai influenzato da Wall Street e dall’America Corporativa.
Da parte sua, Dave Mundy, portavoce del movimento Nazionalista, mette in evidenza il contrasto fra la crescita del Governo Statunitense e lo stato decadente in cui versa il Governo Texano, dovuto alla recessione ed all’aumento spropositato della spesa federale.
Secondo Dave Mundy, tra Washington ed Austin, capitale dello Stato federale, c’è una diversità di interessi che l’attuale sistema politico non riesce più a soddisfare per tutte le parti. A queste ragioni si deve la crescita dei consensi per il movimento nazionalista Texano, in un territorio riconosciuto come punto di forza del Partito Democratico prima degli anni 80, e in seguito roccaforte del Partito Repubblicano.
Il Governo Statunitense, nonostante il suo distinto spirito democratico, fa attendere le sue risposte sul tema, anche perché qualora in futuro si dovesse avverare l’indipendenza del Texas, Washington perderebbe un importantissimo pilastro politico, ma soprattutto economico, basti pensare che il Texas è la seconda economia degli Stati Uniti, con un PIL (2011) di 1.308.132 milioni di dollari, che nel caso divenisse una nazione indipendente, classificherebbe il Lone Star State al 14mo posto a livello mondiale. Esso possiede circa un quarto delle riserve di idrocarburi degli USA e il suo petrolio (West Texas Intermediate) è considerato uno dei migliori d’America, quotato al Nymex di New York fra 79 e 110 dollari al barile. Inoltre è il primo produttore americano di gas naturale, così come per il gesso, il magnesio e lo zolfo, e vi sono depositi di lignite e di catrame. Nel 2006 è diventato il primo Stato americano produttore di energia eolica davanti alla California, e le proprie turbine, alla fine del 2007 sviluppavano un totale di 4.356 megawatt. Il Texas può persino contare sul suo potenziale di energia solare e idroelettrica, riconosciuto fra i maggiori centri energetici del pianeta.
Il prodotto interno lordo Texano è anche sostenuto da un forte apparato finanziario, concentrato sui due centri più importanti, che sono Dallas e Houston, nonché da una economia forte che si sviluppa mediante la produzione di merci pesanti e materiali da costruzione, ma anche ricerca medica, industrie ad alta tecnologia, biotecnologie e ingegneria aerospaziale, turismo, mass-media e settore terziario.
Questi dati si riferiscono ad un’economia avanzatissima ed è difficile fare un paragone con l’Italia, se non addirittura con la Sardegna. Certamente i criteri di paragone fra questa tipologia di nazionalismo e quella del Québec (Canada) e/o della maggior parte dei nazionalismi d’Europa, trova assonanze sotto il profilo della contestazione alle politiche economiche centraliste, ma risulta completamente assente il fattore linguistico, che alle nostre latitudini contraddistingue invece il vero punto di forza della distinzione giuridica che qualifica lo status di diverse minoranze nazionali.

Di Roberto Melis.

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    6 Commenti

    • Conoscendo come sono nati gli Stati Uniti, io parlerei di “secessionismo”, più che di “nazionalismo” (addirittura!) o “indipendentismo”. Una “seconda secessione”, dunque.
      Sembra che si parli solo di fattore economico, ma che i Texani siano e si sentano, comunque, “Americani”. Forse mi sbaglio. Inoltre, si: lì siamo in “America” e le cose funzionano molto più che in italia, per questo hanno comunque un’economia avanzatissima. Un diverso sistema. Poi, ovviamente, anche lì ci sono tra più alti tassi di corruzione a livelli politici (e non solo) e la massoneria. Dico “tra i più alti” e NON “il più alto in assoluto”, perché ci sono altri Paesi che con queste cose fanno una bella concorrenza agli USA (e il sistema italiano non è poi così distante, eh.. comunque, mi riferisco a ben altri Paesi).
      Ma il Texas non ce lo vedrei proprio come una Nazione senza Stato al pari di Sardegna, Corsica, Catalunya e tante altre… Se non hanno ragioni, prima di tutto, linguistco-culturali, per separarsi, io li definisco “separatisti” o “secessionisti”, non “indipendentisti”. Non per delegittimare la loro necessità di sovranità; ma, con tutto il rispetto per il Texas, quelli non sono “nazionalisti”, ma “secessionisti”.
      Detto questo, a loro va il mio sostegno; e auguro loro di diventare indipendenti, anche se non sono una Nazione come può essere la Nostra Sardegna.

      PS: Austin è la capitale del Texas? Cado dalle nuvole! Io ho sempre pensato che fosse Dallas!

    • [...] [...]

    • Buonaparte dei Texani comunque è consapevole del fatto che il Texas è una Nazione, così come lo scrittore statunitense John Steinbeck, dichiarava: ” Il Texas è uno stato d’animo. Il Texas è un’ossessione. Ma soprattutto, il Texas è una nazione in ogni senso della parola”.
      In questo Stato, che ha una superficie più che doppia rispetto a quella dell’Italia, non si creano divisioni interne tra secessionisti o indipendentisti, (che hanno un comune obbiettivo) ma si attuano prima di tutto delle politiche di promozione del territorio e politiche sovraniste per i Texani. La capitale è Austin, mentre la città più popolosa è Houston

    • [...] [...]

    • Roberto,
      Non ero a conoscenza di tutto ciò. Chiedo scusa per trattato in maniera molto superficiale l’indipendentismo/secessionismo/nazionalismo Texano.

    • Era solo per mettere chiarezza sul Texas, anche per renderci conto insieme, di quanto proprio i Texani, a differenza di tanti altri popoli, ritengano sia di fondamentale importanza credere nella propria nazione. Non c’è niente di cui scusarsi. Fortza Paris

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