Riformismo indipendentista e obiettivi: 5 anni di U.R.N. Sardinnya

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“La perseveranza serve più della violenza: molte cose che non possono essere superate tutte assieme lo sono se prese poco a poco”.
Plutarco (46 – 127 d.C.)

Cari Lettori, diciamoci la verità: Quanti disoccupati conoscete tra amici e parenti? Avete mai visto un serio partito Sardo rappresentare le istanze della nostra isola? Quanti partiti e movimenti abbiamo oggi? Queste sigle politiche sono in grado di sostenere il peso delle sfide che attendono la Sardegna? E soprattutto: Queste sigle sono mai state credibili nei loro progetti politici?
Se conoscete le risposte, allora siete nel posto giusto.
L’autonomismo (auto-dichiarato tale) non è mai stato in grado di riformare le istituzioni regionali, né di potenziare l’economia e né di ottenere il rispetto della cultura Sarda.
L’indipendentismo Sardo, nonostante la sua intransigenza, non aveva (e non ha) mai prodotto lo straccio di un percorso di governo, appariva fortemente “ideologizzato” e non ha mai saputo costruire un’alternativa amministrativa e riformista alle forze politiche italiane tanto criticate.
Appare dunque evidente che buona parte dei problemi della Sardegna non sono solo creati dall’Italia (per alcuni semplici motivi che vedremo) ma come Sardi abbiamo la nostra pesante dose di responsabilità (a prescindere da chi voglia rimanere nello Stato Italiano o da chi voglia costruire nel futuro una nuova Repubblica Sarda).

Prima di tracciare una linea per argomentarvi i nostri 5 anni di attività ed i piccoli dettagli a cui abbiamo concorso (con un’associazione politico-culturale su cui lavorare), è necessario inquadrare il contesto in cui nacque il nostro Gruppo ed i suoi intenti ed obiettivi nell’interesse della Sardegna.
La premessa parte dunque dalle esigenze sociali in cui versava l’isola ieri ed in cui si ritrova ancora oggi: Una economia in declino; una disoccupazione in fase di espansione; una scarsa rappresentanza politica della Sardegna nei centri amministrativi; il più totale disprezzo verso la storia, la cultura e la lingua del nostro territorio, nonché la consapevolezza di rappresentare la periferia di uno Stato assente nei confronti dei nostri concittadini.
Dando per scontato che non esista alcuna panacea in grado di risolvere tutti i mali, il miglioramento delle condizioni in cui versa la nostra terra è stato quindi riversato nella trattazione di una serie di priorità su cui abbiamo ritenuto opportuno dare delle opinioni:

1 ) La necessità di avere una politica territoriale capace di rispondere ai problemi sociali e del territorio.

2 ) La necessità di costruire tale forza politica che si articolasse su diversi piani della vista civile ed amministrativa: Riforme istituzionali e riforme sociali.

I fatti dicono che la Regione ha poteri limitati sul campo fiscale e sulle capacità di dirigere l’economia, ma non solo, lo Statuto Regionale “Autonomo” in vigore dal 1948 non è neppure in grado di difendere e promuovere la nostra identità (laddove per identità intendiamo non solo la nostra cultura e la nostra lingua, ma anche la storia dell’isola).
Secondo le scienze sociali infatti, l’identità non è altro che il modo attraverso il quale un individuo identifica se stesso all’interno dei gruppi sociali (tra di essi, la Nazione), e nel nostro caso, ricordare il passato (pur nel rispetto della verità storiografica) non è che un modo come altri per identificarci in una comunità che non ci vede solo come membri appartenenti all’Italia ma anche e prima di tutto parte del Popolo Sardo.
Una identità che deve evolversi e che, come ogni moderno nazionalismo, non contempla la prevaricazione di altre culture o l’immobilismo verso etichette e/o canoni predefiniti.
E questo è uno dei nostri vari messaggi introdotti in anni in cui i movimenti territoriali erano fotocopie l’uno dell’altro, benché ognuno nel presente affermi il contrario e “tiri l’acqua al suo mulino”.
I media italiani hanno contribuito ad omogeneizzare verso “l’Italianità” culture e località d’Italia differenti su cui era nata la fasulla nazione italiana nel 1861 ad opera dei Savoia (uno Stato che ancora per buona parte del ’900 era diviso da usi, costumi, lingue e storie del passato differenti).
Mutare in meglio la realtà in cui si vive significa capire l’utilità di avere gli strumenti per farlo, e quindi una o più forze politiche che abbiano chiaro il percorso per cui battersi nel quadro di un regime democratico.
Questo significa il dover disporre di una o più forze di peso – programmaticamente alleate – in un Consiglio Regionale per orientarne le riforme, che siano appunto istituzionali e sociali (sia in campo economico che identitario-culturale).
Per riforme istituzionali intendiamo la variazione dell’assetto regionale in maniera tale che uno Stato centralista come quello italiano devolva più poteri alla Regione (come su materie fiscali, della formazione scolastica, ecc), al fine di migliorare non solo la qualità della vita dei cittadini Sardi ma anche di svilupparne in essi una forte coscienza territoriale (che oggi non è diffusa e quindi non ha una sua valida traduzione politica) al fine di proseguirne il percorso in un Italia federale (quindi mediante requisiti similari a quelli promossi oggi dal Parlamento Italiano) oppure di creare le condizioni strutturali idonee per una nuova Repubblica indipendente all’interno dell’Unione Europea e della Comunità Internazionale.
In alternativa, potenziare ulteriormente l’Autonomia regionale (previo riconoscimento della Nazionalità Sarda), al fine di arrivare ad una coscienza territoriale diffusa su cui, successivamente, sarà la politica stessa in maniera spontanea ad adagiarsi.

Un percorso questi (sia esso quello federalista o autonomista) ancora avversato da un indipendentismo ideologicamente nato in epoca di guerra fredda. Un epoca nella quale il massimalismo dialettico (benché non abbinato ad un massimalismo armato) vedeva nel “tutto e subito” una improbabile soluzione alle vertenze sociali a cui si ergeva paladino.
Eppure l’autonomismo in Sardegna (come in altre realtà internazionali) non deve necessariamente distinguersi dall’indipendentismo. Il nazionalismo ha una sola voce: Il rispetto ed il benessere della Nazione. Con tale presupposto, ogni alleanza volta a far avanzare lo status istituzionale dell’isola sul campo politico è fondamentale ed essenziale.
Le voci contrarie a questo buonsenso vanno distrutte e sistematicamente rimosse dal dizionario politico della Sardegna poiché anacronistiche e controproducenti.
Se un percorso analogo in passato è fallito non lo si deve solo a responsabilità umane o di scarso peso politico raggiunto (per vari motivi), ma perché il nazionalismo Sardo (nella persona di quanti, Sardisti ed indipendentisti, l’hanno promosso) non era maturo.
Ad esempio, non è il nazionalismo del Partito Sardo d’Azione ad essere fallito ma l’ideologia Azionista (di derivazione risorgimentale e Mazziniana), che nel secondo dopoguerra operò quasi in continuità (per ragioni storiche) con l’ala resistenziale del movimento “Giustizia e Libertà”, pienamente fusa – in seguito – nella frastagliata vicenda del socialismo italiano e dei barlumi democristiani.
Il neo-indipendentismo invece (comunque nato grazie al Sardismo ed alla meno nota Lega Sarda di Bastià Pirisi) fino al 2005 era interessato dall’ideologia Marxista e dall’antiautonomismo, nonostante un movimento come Sardigna Natzione in passato abbia sempre tentato coraggiose aperture.

Ma la verità è che solo oggi partono i primi dialoghi ed i primi timidi e circospetti approcci per la vicinanza tra sigle. In questo, abbiamo dato il nostro piccolo contributo, divulgando le nostre idee dal mezzo più potente che il nuovo secolo ci ha messo a disposizione: Il web.
Grazie ad internet e con pochi mezzi, abbiamo portato la critica in un ambiente conservatore e restio al cambiamento come l’indipendentismo Sardo. Specialmente verso i movimenti IRS e Sardigna Natzione.
Abbiamo parlato delle riforme di cui sopra, ma soprattutto del percorso che avrebbe dovuto o potuto rappresentare un Partito o un Fronte Nazionale Sardo in sede di elezioni.
Abbiamo parlato di apertura al libero mercato (senza dimenticare la giustizia sociale); abbiamo parlato di temi prima ideologicamente nell’ombra, come la Pubblica Sicurezza; abbiamo alzato la voce sull’utilità di una vera Autonomia e di un vero Federalismo come passaggi graduali per l’indipendenza – per la ragione di dover sviluppare una vera coscienza natzionale, per gradi, attraverso le suddette riforme dell’istruzione e dell’economia.
Ma abbiamo soprattutto parlato di credibilità, di moderazione dialettica, di riforme dell’immagine e della comunicazione, nonché di sincera apertura all’Europeismo, ai suoi valori e persino alle sue simbolistiche.
Grazie ad internet, e spesso accompagnati da toni accesi, l’effetto domino provocato dai nostri interventi è arrivato anche in coloro che tutt’ora non ci conoscono, per azione e conseguenza dell’opera dei dirigenti politici territoriali che hanno ripreso (purtroppo spesso male o parzialmente) alcune nostre idee.
La tendenza al conservatorismo ideologico ha purtroppo rallentato il processo riformista e, se da un lato (ad esempio) movimenti come IRS hanno rinnovato la qualità del loro agire politico, dall’altro hanno perpetuato i vecchi errori (come l’anti-autonomismo) rendendo dunque vani i nuovi dettagli ed impedendo la costituzione di migliori soggetti politici che avrebbero potuto far arrivare un serio messaggio di coesione alla Pubblica Opinione.
Ed è proprio di quest’ultima che dal 2005 abbiamo iniziato a parlare. Fino a tale data (ed in parte anche oggi), molti dirigenti politici indipendentisti non si erano mai occupati delle ripercussioni di immagine derivanti dalle loro posizioni. Talvolta folkloriche e tutt’altro che presentabili al grande elettorato. Anche per via di quella immatura e proteiforme autocoscienza territoriale. Quella che permette ad un soggetto di identificarsi in un territorio, in una bandiera, in una società aperta ma distinta sotto il profilo Nazionale.
La critica dunque come strumento di integrazione costruttiva al dibattito. Ma quale dibattito?
E’ proprio questo il punto: In un ambiente così chiuso e conservatore come il circuito politico identitario, il dibattito non è mai stato teso a superare i vecchi vizi, quanto piuttosto a rinnovarli. Internet è stata l’incubatrice entro la quale si è svolta una silente e proficua gestazione di tali elementi per il Nazionalismo Sardo del nuovo millennio.
Un viral marketing di assoluta efficienza, indirizzato a personaggi chiave, nonostante la bassa disponibilità di adeguati mezzi finanziari.
Per questo la nostra provocazione è passata: è servita a fare leva su dirigenti in reciproca rotta di collisione, i quali hanno assorbito alcuni piccoli ma decisivi frammenti della nostra voce.
“I dettagli sono tutto” recita un vecchio proverbio, e secondo tale filosofia ci siamo mossi, senza fare sconti a nessuno. Siamo pienamente legittimati dalla democrazia: La quale ha consentito ad un Gruppo di cittadini come il nostro la capacità di criticare in maniera mirata, materia per materia, quella serie di elementi che ogni elettore dovrebbe poter contestare al proprio partito nel momento in cui questi non ottiene i risultati sperati.
Diffidate da chi parla di “azione” ma non governa, diffidate da chi distribuisce “patenti” di legittimità. Tuttavia, anche la critica è “azione”, perché ha consentito e consente loro di migliorare. Tutti sono e possono essere dei validi interlocutori. Anche noi non siamo perfetti e non siamo il punto zero. Nella nostra terra dobbiamo sforzarci di mettere da parte l’individualismo, perché solo la sinergia delle varie idee sarà la forza del riscatto per la Sardegna. Quando una persona “non sa una cosa”, può saperla un’altra e viceversa. Pensare invece a dei dirigenti politici che sgomitano ritenendo di avere ognuno delle verità assolute….è uno spettacolo improduttivo oltre che penoso a cui purtroppo siamo tristemente abituati.

Quando nel 2006 U.R.N. Sardinnya affermava che sarebbe nato un partito forte del centrosinistra, seguito da un forte partito del centrodestra italiano (poi chiamati PD e PDL), l’indipendentismo non reagì a questa ondata del bipolarismo romano. Dal pianeta indipendentista ci risero dietro, e dietro bandiere dipinte di rosso “sputavano” sul vessillo europeo, che noi volevamo fosse un simbolo di integrazione della causa per l’autodeterminazione Sarda verso la Pubblica Opinione: Il sintomo di un moderno nazionalismo che opera per la sua Comunità, liberale (ma specifichiamo, non ostile ad alcuna ideologia, come il socialismo) e moderni. Aperti alle sfide del mondo globale.
E quando oggi vediamo l’arretratezza di certi movimenti parlare di queste migliorie non può che farci piacere e darci un nuovo stimolo per proseguire nel nostro operato.
Evidentemente avevamo ragione.
Occorreva rivoluzionare i luoghi comuni dell’agire politico identitarista.

Nel 2010 viviamo in un periodo storico nel quale la Fondazione Sardinia appare in competizione col vecchio Comitato per la nuova “Carta de Logu” nella riscrittura dello Statuto Sardo e per l’avvio di una Costituente che getti le basi della legittimità giuridica della Nazione Sarda nei confronti dello Stato Italiano. “Competizione”, se così si può dire, nella misura per cui “chi arriva dopo” nel ripetere alcuni concetti, se ne assume la paternità ideologica. Ma ripetiamo:
Tutti sono importanti.
Tutti hanno dato e danno il loro contributo. Ma non abbiamo bisogno di altari con una fila di sermoni da sentire in platea, abbiamo bisogno di tavole rotonde, in cui ognuno possa parlare faccia a faccia.
Speriamo che i nuovi incontri tra sigle politiche locali non si traducano nella solita competizione distruttiva, speriamo in una collaborazione tra amici nella quale tutti siano chiamati a dare un’opinione. Dove non ci siano esclusi e dove nessuno pretenda di riscrivere la storia contemporanea della Sardegna in qualità di protagonista. Come noi abbiamo dato il nostro piccolo ma importante contributo, chiediamo maggior collaborazione agli altri: A coloro che hanno un ruolo politico definito da anni, come i nostri movimenti politici territoriali, come i sindacati nostrani e come le associazioni che da anni si battono in questa direzione.
Da parte nostra, l’impegno sarà quello di sviluppare l’opera critica e riformista che abbiamo lanciato in Sardegna attraverso un’interfaccia sociale: Una associazione politico-culturale.
Riteniamo inutile formare un nuovo partito politico, il quale non farebbe altro che spartirsi le briciole di un bacino elettorale che sembra non trovare contatti con i bisogni della gente comune.
Riteniamo che un ipotetico Fronte Natzionale o un Partito Nazionale Sardo debba essere la sintesi di un percorso dibattimentale tra le varie anime territoriali che oggi si muovono nella scarna politica regionale e che lentamente vanno intuendone l’utilità.

I tempi per un PNS sono maturi, ma non lo sono quelli dei dirigenti indipendentisti attuali, incapaci di rispondere compattamente e tempestivamente alle richieste di sviluppo e riforme della Sardegna.

E’ per questo che dobbiamo insistere, perché cambiare è sempre stato possibile.

Grazie per il Vostro sostegno e la Vostra attenzione che ci manifestate continuamente.

Bomboi Adriano.

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