Oltre il mito del potere centralizzato

L’Italia arranca nel darsi un governo, ma nel vecchio continente esiste una delle istituzioni più efficienti del mondo, priva di un governo nei termini in cui viene concepito a Roma: è la Confederazione Svizzera.
A Berna non esiste un forte potere centrale ma un Consiglio Federale, espressione delle autonomie e delle diverse forze politiche, dove a rotazione, ogni 12 mesi, viene eletto un presidente.
Enrico Napoleone (Canton Marittimo) ci parla della formula che, al contrario di quella italiana, garantisce stabilità, trasparenza e partecipazione democratica. E si tratta di una formula, come ricorda Carlo Lottieri (IBL), derivante dalla tradizione policentrica del medioevo, una società che ha sempre rigettato con successo il mito giacobino del potere centralizzato.

Ad oltre un mese dalle elezioni, Palazzo Chigi non ha ancora visto il nuovo governo.
Nulla di nuovo per l’Italia, la Repubblica che ha già avuto 64 governi a partire dalla sua nascita, in media, poco meno di uno all’anno.
Governi spesso deboli, costruiti quasi sempre su intese fragili ed effimere, basati su temporanei accordi di potere, cambi di casacca di voltagabbana (i cosiddetti “responsabili”…), spartizione di poltrone e ricatti e inciuci più o meno palesi.

Governi appesi a un filo, frequentemente tenuti in piedi attraverso maggioranze di un pugno di voti, costantemente sotto il ricatto di sparute fazioni di parlamentari rappresentativi di quote minime di elettori, in grado di condizionare le attività dell’organo esecutivo e di decretarne in poche ore la vita o la morte.

Il solito balletto al quale assistiamo anche oggi, M5S+Lega, M5S+PD, PD+Forza Italia, grande coalizione, governo di scopo, del presidente, tecnico, di unità nazionale, di larghe intese, di transizione, di solidarietà nazionale etc, etc.

Qualunque sarà la forma trovata è praticamente certo che anche il prossimo governo, come accaduto per i precedenti, non potrà lavorare serenamente e in maniera efficace nell’interesse del Paese.
I risultati di questi sette decenni di repubblica italiana, con tutti suoi numerosissimi governi, sono sotto gli occhi di tutti.

Ma allora, quale potrebbe essere la possibile soluzione a questo storico, grave problema che appare come irrisolvibile?
Viene da pensare che solo una bacchetta magica potrebbe risolverlo!
E perché invece non usare una “formula magica”?

La “formula magica” esiste veramente, non è uno scherzo: si tratta della formula, in tedesco “zauberformel”, che sin dal 1959 consente alla Confederazione Svizzera di ripartire, senza contrasti e in maniera quasi automatica, i seggi nel Consiglio Federale, il governo federale elvetico, corrispondente al nostro Consiglio dei Ministri.

I sette Consiglieri Federali (i nostri ministri) presiedono i sette dipartimenti (ministeri) svizzeri e ogni anno nominano tra loro, a rotazione e per 12 mesi, il Presidente della Confederazione.
Questo ruolo, fondamentalmente rappresentativo, non gli attribuisce lo status di capo dello Stato o del Governo: il presidente è durante il suo incarico annuale, semplicemente, un “primus inter pares” (primo tra pari) e gli altri sei consiglieri hanno esattamente lo stesso peso all’interno del consiglio.
Ciò che domina le attività del Consiglio Federale è il principio della collegialità: dai consiglieri federali ci si attende che nella loro funzione non difendano unicamente gli interessi partitici, ma soprattutto quelli collettivi.
Seppure le visioni possano divergere e le discussioni ovviamente esistano, i sette membri del Consiglio Federale parlano sostanzialmente con una voce sola e difendono le decisioni verso l’esterno anche quando non coincidono con la propria opinione, la collegialità e l’interesse della collettività è sacro.

Anche nell’attribuzione dei sette dipartimenti (ministeri) esiste una prassi consolidata basata sul principio di anzianità. A scegliere per primo è il membro che da più tempo siede in governo. Poi seguono gli altri, secondo l’ordine di anzianità, ossia secondo gli anni di servizio. Il nuovo consigliere eletto è l’ultimo ad avere diritto di scelta e quindi deve dimostrare subito una certa umiltà.
Nel caso in cui non si dovesse raggiungere un’accordo su questa assegnazione, è il governo che prende la decisione a maggioranza.

Non esiste quindi, come avviene invece in Italia, una trattativa più o meno occulta tra le forze politiche facenti parte della coalizione di governo, per l’assegnazione dei ministeri, dei sottosegretariati o degli altri ruolo di potere, che da vita a quel “mercato delle poltrone” al quale, come italiani, siamo da sempre abituati.

In Svizzera non si assisterà mai al triste teatrino nel quale, come quasi sempre accade in Italia quando non esiste una maggioranza parlamentare netta, attori poco credibili, se non anche improvvisati, mettono in scena un patetico spettacolo con le diverse ipotesi di coalizioni, prove di forza, pressioni più o meno indebite per ottenere l’incarico a formare il governo o farne parte in ruoli più o meno da protagonisti.
Uno spettacolo che poi continua con governi dalla durata incerta, legati come sono al capriccio di un qualsiasi attore non protagonista, dello Scilipoti, Alfano o Verdini di turno o di altri figuranti da avanspettacolo.

Lo garantisce la cosiddetta “formula magica” della Svizzera, quella prassi non scritta, che da forza, credibilità e stabilità ai Governi elvetici: dal 1959, infatti, l’esecutivo elvetico è composto praticamente ininterrottamente dai rappresentanti dei quattro partiti più importanti: Unione democratica di centro, Partito Socialista, Partito liberale radicale e Partito popolare democratico. È quella che in Svizzera viene chiamata la “formula magica”. Questa “formula magica”, che non poggia su nessuna base legislativa, rispecchia la volontà di adottare delle decisioni sulla base di un consenso il più ampio possibile. Senza questo ampio consenso, molte decisioni del governo e del parlamento rischierebbero spesso di cozzare contro lo scoglio rappresentato da quello straordinario strumento della democrazia diretta che è il referendum, che in Svizzera attribuisce ai cittadini un potere di indirizzo e di controllo sulla gestione politica pressoché totale.
La “formula magica” prevede che i consiglieri spettino costantemente ai quattro partiti, in un numero che non rispecchia esattamente il loro peso elettorale, due per i tre partiti principali ed uno per il più piccolo Partito Popolare Democratico.
Dal 1959, solo nel 2003 la ripartizione è leggermente variata, e questo indipendentemente dal fatto che le quote di consenso nelle diverse elezioni si sia ovviamente modificata, dimostrando che per gli svizzeri la guida del paese deve essere comunque svincolata dagli eventuali sbalzi d’umore elettorali.
Ma ancora più importante, i sette consiglieri vengono eletti all’inizio della legislatura e restano in carica sino alla fine: non esistendo il voto di fiducia, nessuno potrà mai far cadere il governo.
Nessun ricatto dunque da parte delle forze politiche, come avviene in Italia, con i governi costantemente in ostaggio di parti più o meno ampie della coalizione di turno e costretti a destreggiarsi tra richieste, imposizioni e ricatti politici.

Un sistema politico di governo che sembra quasi incredibile per chi come noi ha sempre vissuto la realtà italiana. Ma un sistema che ha dimostrato di essere sostenibile, come avviene da decenni in Svizzera e che ha garantito un’efficienza e un’efficacia dell’azione politica nel suo complesso, elemento imprescindibile del successo planetario di una piccola nazione, con solo otto milioni di abitanti, stretta tra le montagne e senza materie prime.
Un modello da apprendere, da imitare e da seguire, continuiamo a sostenere con forza e convinzione, anche per la nostra Sardegna, per garantire al suo milione e mezzo di abitanti una prospettiva diversa e un futuro potenzialmente radioso.

La nostra sentita preghiere è rivolta da una parte a tutti i leader dei movimenti indipendentisti, da Muroni a Sedda, da Pili a Maninchedda, Devias, Cumpostu e Sale per arrivate ai Sardisti perduti dietro la Lega: abbandonate l’individualismo e le ambizioni personali, mettete da parte l’idea di replicare in Sardegna un modello dimostratosi fallimentare e perdente come è quello importato dall’Italia, aprite gli occhi sugli esempi che esistono e abbiate l’umiltà di imparare da chi ha certamente qualcosa da insegnarci.

Dall’altra, il nostro accorato invito a tutti i Sardi, mutuando un espressione ormai famosa:
“Sardinian Citizens be hungry, be foolish!”
Che oltre il senso letterale significa: Cittadini Sardi siate affamati, ovvero abbiate la voglia di imparare, la curiosità, l’ambizione, siate folli, nel senso di ribelli, ovvero siate in grado di fare scelte azzardate, non convenzionali o che altri giudicano sbagliate o assurde.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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