Quella Sardegna tra spopolamento e populismo

Approda in consiglio regionale la proposta del PD contro lo spopolamento interno dell’isola: 311 milioni di euro gettati al vento senza studiare seriamente il fenomeno. L’opinione del sociologo Marco Zurru.

Avevo già scritto sulla faccenda, ma ora si è materializzata una proposta di legge e quindi è meglio dire due o tre cose con più dettaglio.
Come tutti sanno, questa disgraziata isola soffre – tra i molti – di alcuni problemi che mettono a repentaglio la sostenibilità socio-demografica di diversi comuni: il complesso concerto tra le dinamiche di mobilità e quelle di fecondità prospettano tempi catastrofici per molti piccoli centri della Sardegna. Si parla ormai di “desertificazione demografica” e non è un caso se se ne parla molto, ovunque e, spesso, a cappero.
Perché le ragioni dell’assottigliamento demografico di molti comuni non sono legati ad una mono-causa, ma derivano, appunto, dall’intreccio di una sedimentazione complessa di elementi: culturali, economici, sociali, ragioni derivanti dalla struttura per età della popolazione residente.

Ad esempio, pensare che sia solo la mancanza di danaro (pur fondamentale negli argomenti discussi) a spingere le donne (e i relativi compagni/mariti) a procrastinare l’età del concepimento del primo figlio o a decidere di non metterne al mondo alcuno non spiegherebbe, ad esempio, il caso tedesco. In Germania, paese notoriamente additato tra i più sottosviluppati al mondo, il tasso di fecondità è simile a quello italiano (1,34 figli per donna).
Il desiderio di maternità (e di paternità) e la sua realizzabilità è legato dunque a più condizioni di contesto (desiderio di autonomia delle donne nel mercato del lavoro, sostenibilità dell’occupazione in condizione di madri, congedi di maternità e paternità, presenza di servizi sociali dedicati all’infanzia, condizione occupazionale, sostenibilità economica, agevolazioni fiscali e di utilizzo di servizi sociali, culturali, scolastici diffuse…) che riducono a banale barzelletta una supposta capacità di innalzare i tassi di natalità con elargizioni economiche dirette alle stesse famiglie.
Entrando nel dettaglio della proposta di legge firmata dai nostri stipendiatissimi rappresentanti regionali, la cosa di riduce a due azioni, con dietro delle banali note statistiche a giustificazione della cosa.

In breve, come potete leggere, per le famiglie è previsto:
A) IncoraGiovani: un assegno mensile di 700 euro per ogni figlio per un periodo di 7 anni, ma solo se l’età complessiva dei membri della stessa famiglia non superi la soglia dei 55 anni. Cioè, al momento della presentazione della domanda, la somma dell’età del padre, della madre e, nel caso, del bimbo già presente, non deve superare i 55. E’ l’età del nucleo familiare una prima soglia da dimostrare per accedere al beneficio.
B) AncoraGiovani: Se la soglia del nucleo familiare è inferiore alla soglia dei 65 anni si può richiedere lo sgravio delle imposte di spettanza regionale per 7 anni.
Le misure non sono universalistiche ma valgono solo per le famiglie residenti in comuni interessati da una decrescita demografica e da fenomeni di spopolamento. Un nucleo di valutazione della RAS dovrebbe avere lo spiritoso compito, ogni anno, di stilare i comuni “meritevoli” e quelli “immeritevoli”.
Ora, ci sono mille ragioni per alimentare il cestino della carta straccia con cialtronaggini che costerebbero qualcosa come 311 milioni di euro in sette anni (311 milioni di euro nostri, di tutti noi, mica loro…). Ma, per ora, ne espongo solo un paio.

1) La lettura delle cause dello spopolamento.

La proposta di legge è anticipata da un banale corredo statistico dove si evidenzia il numero dei comuni in decrescita demografica e quelli in crescita. Anche i ragazzi delle superiori sanno che i fenomeni demografici sono la somma di movimento naturale (nati/morti) e della mobilità (cancellazioni/iscrizioni anagrafiche). Ma i nostri baldi eroi costruiscono una politica per la natalità stilando una lista dei comuni potenzialmente beneficiari delle azioni a partire dal saldo demografico, ovvero dalla somma delle due dinamiche.
Le cartine che potete vedere rappresentano i tassi di natalità e quelli di migrazione dei comuni nell’isola negli ultimi 3 anni, e evidenziano che: quasi mai nello stesso comune il tasso di natalità e quello di migrazione assumono gli stessi valori di gravità. Per ragioni complesse, in uno stesso paese si possono mettere al mondo un numero elevato di bambini ma, nello stesso tempo, perdere popolazione residente con le cancellazioni anagrafiche (o l’inverso). Nascite e spostamenti non seguono la stessa legge, né esiste un’unica motivazione che muove in un’unica direzione le due dinamiche. Ma questa è una proposta di legge di incentivo alla natalità che mischia pere con mele, e rischia – ad esempio – di premiare famiglie residenti in comuni dove il tasso di natalità è ancora elevato come quello di emigrazione.

2) Una proposta fortemente discriminatoria.

La lista delle discriminazioni di una cialtronaggine del genere che ci costerebbe 311 milioni di euro è molto lunga. Per non annoiare ne cito solo alcune.
2.1. La prima l’ho appena menzionata e deriva dal metodo indicato per definire i comuni beneficiari. Una politica per la natalità deve saper scindere, quando è possibile, le tensioni dovute agli spostamenti da quelle che sono le ragioni progettuali di futura procreazione. Stilare una lista dei comuni in quel modo rischia di tenere fuori comuni in cui le ragioni (e gli effetti) per una bassa natalità sono evidenti e radicate e premiare, invece, chi perde molta gente con gli spostamenti ma continua a procreare.
2.2. La soglia dei 55 anni è l’indicatore più evidente di una banale quanto schietta ignoranza: l’età media della madre sarda al parto è di circa 33 anni. Il 73% delle donne sarde partorisce in un intervallo di età compreso tra i 30 e 48 anni. Ciò significa che, sommata l’età della madre con quella del padre, quasi sicuramente il 73% e oltre delle famiglie sarde, residenti in comuni scelti a cappero, sarà tagliata fuori dalla politica per la natalità proposta dai nostri baldi eroi. Il 73%: non è discriminazione, è abominio…
2.3. Si parla di benefici per nuclei familiari. Chi ha steso la proposta di legge non sa, evidentemente, che un congruo numero di donne rimane gravida al di fuori di qualsiasi relazione di coppia. Sono le giovani madri che, in un modo o nell’altro, da sole, dovranno campare i propri figli. Guarda caso, tutte le ricerche ci dicono che queste donne, quasi sempre, provengono da strati sociali svantaggiati, emarginati a rischio povertà, in povertà estrema. A loro? Niente, anche se abitano in comuni inseriti nella lista stilata a cappero.
2.4 Si parla di beneficio unico diffuso (700 euro) ma ai nostri baldi eroi manca la banale nozione dell’articolo 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ovviamente, l’elemento vale anche in ragione opposta, ai fini del beneficio. Qui, come nel caso dell’abolizione della tassa sulla casa, c’è il rischio che si cumulino benefici a pregressi benefici (famiglie con condizioni economiche più soddisfacenti) e svantaggi a precedenti disgrazie. Un minimo di gradazione in ordine alla progressività reddituale non sarebbe cosa insana, ma tant’è…
2.5. Si parla di benefici ma poi, a leggere bene, è un prestito. Non sia mai… Il 50% di ciò che ti ho dato, perché sei capitata fortunatamente in compagnia di un marito/compagno e non sei sola e sei residente in un comune inserito nella lista stilata a cappero, me lo devi rendere. Con calma, in comode rate di 360 mesi per il resto della tua vita…

Insomma, la storia non insegna niente. Anche se sarebbe il caso che qualcuno dedicasse più tempo ad informarsi, a leggere e studiare, prima di pensare di impegnare i nostri soldi, i soldi di tutti, in ridicolaggini del genere.
Il discorso di Mussolini dell’Ascensione pronunciato alla Camera dei Deputati il 26 maggio del 1927 fu l’incipit di una disastrosa politica per la natalità che, seppur per altre ragioni (un auspicato ritorno ai fasti imperiali) pretendeva una relazione diretta tra elargizione economica statale e uso della braghetta per finalità riproduttive.
Da allora, nessuna politica di natalità nei contesti occidentali è stata proposta con simile primitiva rozzaggine. Chi conosce il caso francese, quello finlandese, quello portoghese o inglese, sa quanto sia importante predisporre un mix di misure non ancorate esclusivamente alla dazione finanziaria, ma con una larga capacità di alimentare servizi pubblici per l’infanzia, la sostenibilità delle donne nel posto del lavoro dopo il parto, i congedi di maternità e di paternità, le politiche di agevolazione per l’utilizzo dei servizi scolastici, sociali, sportivi e culturali, l’ampliamento delle possibilità occupazionali per le giovani coppie, le politiche per la casa.
Ma qui siamo nel territorio delle semplificazioni, dove tutto è facile, bello e risolvibile con un tocco di bacchetta: 311 milioni di euro, i nostri. Buttati nel WC.

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