Papa e Piketty sbagliano: il terrorismo non è figlio della povertà

Di Luciano Capone.

“L’esperienza dimostra che la violenza e il terrorismo nascono dalla povertà”. I giornali di tutto il mondo hanno riportato le parole di Papa Francesco dall’Africa sulle cause profonde che spingono alcune persone a massacrarne altre. L’idea paramarxista che sotto la sovrastruttura ideologico-religiosa si nascondano problemi di tipo economico è ampiamente condivisa. Thomas Piketty enfatizza il ruolo della disuguaglianza, variante relativa della povertà, e dell’austerità nell’esplosione delle tensioni attuali. Sulla stessa lunghezza d’onda ci sono Andrea Riccardi, che punta il dito sui tagli alla spesa sociale, e Carlo Freccero che dà la colpa al liberismo. Se la stampa ha il dovere di portare a conoscenza il pensiero di personalità di importanza mondiale come il Papa, ha però anche il compito di dire che le sue parole non sono vere. Sono stati fatti diversi studi sulle cause che spingono alcune persone ad ammazzare civili innocenti e in nessun caso emerge che sia la povertà a causare il terrorismo. Lo studio più famoso è quello, già citato su queste colonne, di Alan Krueger, economista liberal a Princeton e consulente del presidente Obama, che nel libro “What makes a terrorist”, sulla base di un’analisi empirica, giunge alla conclusione che non solo il terrorismo non è diffuso maggiormente “nei paesi caratterizzati da un basso pil pro-capite”, ma che “i terroristi arrivano dalle fila delle persone più istruite piuttosto che dalle masse ignoranti e non scolarizzate”. A conclusioni simili giunge Alberto Abadie, economista ad Harvard, nello studio “Poverty, Political Freedom, and the Roots of Terrorism”. Anche Abadie nella sua indagine empirica sul terrorismo nazionale e internazionale sostiene che “il rischio terrorismo non è più alto nei paesi poveri” e ancora che “non c’è una significativa associazione tra terrorismo e variabili economiche come il reddito”.

Analizzando che tipo di legame esiste tra povertà e terrorismo in Palestina, Claude Berrebi ha scoperto che un migliore standard di vita e un livello d’istruzione più alto sono associati positivamente alla partecipazione in organizzazioni come Hamas o il Jihad Islamico Palestinese e a diventare un attentatore kamikaze. Sempre Krueger – in un altro studio con Jitka Maleãková in cui vengono analizzati i dati sui crimini legati al terrorismo in Cisgiordania, Striscia di Gaza e sulla militanza in Hezbollah – conclude che “né la povertà né l’istruzione hanno un impatto diretto o causale sul terrorismo”. Ancora oggi – come nelle organizzazioni terroristiche degli anni ’70 studiate da Charles Russell e Bowman Miller – i terroristi non sono figli dell’ignoranza e della povertà, ma provengono da contesti più o meno agiati e spesso vengono a contatto con l’estremismo proprio nelle università.

Può sembrare plausibile che povertà e ignoranza siano la causa del terrorismo ma semplicemente non è vero, lo dicono i fatti e le biografie dei terroristi. Impegnarsi per ridurre la povertà è un obiettivo nobile e lodevole, ma non c’entra nulla con la lotta al terrorismo e chi sostiene il contrario dovrebbe in qualche modo dimostrarlo. Come diceva lo statistico William Edwards Deming, “crediamo in Dio, ma tutti gli altri devono portare i dati”. Compresi il Papa e Piketty.

Il Foglio, 27-11-15.

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Redazione SANATZIONE.EU

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