Sarroch, la fuga dell’ENI e l’assenza della politica

Di Luca Tolu.

In qualunque modo la si veda, la sparizione dell’ENI dal polo industriale di Sarroch genera incertezza: alcuni impianti resteranno chiusi per sempre, il totale degli occupati è in progressiva caduta libera e l’intero sistema economico si reggerà esclusivamente sulla Saras dei Moratti che ha acquisito la parte degli impianti del “cane a sei zampe” che non saranno dismessi.

Non bastano i comunicati stampa e le timide prese di posizione della politica sarda per rassicurare il territorio: lo spettro di un nuovo cimitero industriale continua ad aleggiare su Sarroch e la sostanziale assenza di nuove assunzioni negli ultimi cinque anni da parte del colosso dei Moratti conferma quanto la parola incertezza sia quella che definisce meglio il futuro di quest’area industriale.

L’impressione è di un processo di sostanziale declino. Un film già visto a Porto Torres e a Portovesme che non vorremmo fosse proiettato anche in questo territorio. Basta chiedere ai ragazzi di venti e venticinque anni di Sarroch per entrare nel cuore di tale decadimento: sono la prima generazione di disoccupati “figli dell’industria”, cresciuti e formati con la convinzione di poter trovare occupazione in Sarlux (Saras) o in Versalis (ENI), come i loro padri e fratelli, salvo poi ritrovarsi disoccupati sperando in qualche mese di fermata nelle ditte esterne locali che sgomitano sempre di più a vincere appalti in un mercato saturo di aziende del “continente”.

Anche per Sarroch servono nuove idee e nuovi investimenti, senza perdere di vista gli errori fatti in altri contesti simili. Il dirigismo di stato, i piani industriali pubblici che ricordano i piani quinquennali di stampo sovietico, lungi dall’essere “illuminati”, hanno prodotto solo fallimenti. Piuttosto, il ruolo del settore pubblico deve essere di semplificazione, di sburocratizzazione e d’investimento in infrastrutture e alleggerimenti fiscali.

Un esempio di dirigismo statale che rischia di fallire è la chimica verde di Porto Torres. Negli anni Settanta fra dipendenti e indotto, nel petrolchimico di Porto Torres lavoravano circa 20.000 dipendenti, poi il lento declino fino alla chiusura da parte dell’ENI. Nel biglietto d’addio il colosso statale ha posto le bonifiche e la Chimica Verde come palliativo. Il sito si sarebbe convertito nel più grande polo europeo di produzione di materiale bio plastico. Dall’olio del cardo si sarebbe dovuta aprire una filiera mirata alla produzione di manufatti plastici bio degradabili (bicchieri, piatti, buste, etc). I nuovi impianti, una volta arrivati nel 2018 a regime avrebbero occupato 635 unità, ben poco rispetto alle cifre passate. Peccato che poi in seguito siano emerse le prime contraddizioni, poiché si sarebbe dovuto coltivare a cardo mezza Sardegna per ottenere la materia prima.

Per non rischiare scenari simili anche a Sarroch, bisognerebbe incoraggiare l’affiancamento di un nuovo soggetto industriale e/o investimento infrastrutturale che vada a colmare il vuoto lasciato dall’ENI. Prima di tutto è necessario percorrere le strade più immediate che potrebbero portare ad un’acquisizione degli impianti xileni da parte di Clivati che producono la materia prima che serve all’azienda di Ottana per la produzione di pet e bottiglie di plastica. Ciò, nonostante nell’isola in prospettiva sia comunque meglio superare il limite delle essenzialità e aprire il mercato energetico regionale. In secondo luogo bisognerebbe fare pressioni affinché dalla Giunta Regionale arrivino risposte serie sul gas metano e sulle infrastrutture necessarie che si prospettava di installare a Porto Torres e Sarroch. In terzo luogo bisogna tentare la strada dei bandi internazionali per chiamare investitori privati che sfruttino le economie di scala con gli altri impianti industriali e puntino su sviluppo e ricerca, compresa la “chimica verde” se sostenibile e competitiva.

Per rendere più percorribili queste strade occorrono però una cornice di politiche industriali che si concentrino sulla semplificazione burocratica e sulla defiscalizzazione di nuovi investimenti. Politiche che accolgano le iniziative imprenditoriali di soggetti privati anziché respingerle. Strategie che, naturalmente, possono essere attuate soltanto a livello di Governo statale.

Ed è proprio in questo contesto che si sente l’assenza della politica. Iniziando dal Governo, l’esecutivo di Matteo Renzi è concentrato su interventi fiscali certamente non negativi, ma che non hanno intaccato i reali punti nevralgici del sistema economico e industriale italiano. Si preferisce puntare su misure spot d’immediato tornaconto elettorale come i famosi “80 euro” e adesso l’annunciato “funerale delle tasse sulla casa”, tralasciando l’importante capitolo sulle strategie di politica energetica nazionale e su come rendere competitiva l’industria italiana. Anche questo Governo sembra chiuso in una visione miope dell’impresa che, da un lato, senza domandarsi come rendere il sistema fiscale più attrattivo, è biasimata per delocalizzare all’estero, mentre dall’altro lato è cooptata nei suoi elementi meglio apparecchiati politicamente.

In perfetta sintonia, viaggia sugli stessi binari anche la politica regionale. Difficile citare un solo esempio di intervento degno di nota ad opera della Giunta guidata da Francesco Pigliaru. La Regione Sardegna sembra sotto un regime commissariale, impantanata nelle paludi dell’immobilismo dove l’unica iniziativa sembra il salvataggio di un’azienda parastatale e decotta come Abbanoa. Da questo team di professori ci si aspettava qualcosa in più, come la tanto attesa risposta su come portare il gas metano nell’isola, giacché non possiamo concentrare tutte le aspettative sulla metanizzazione nelle boutade del Qatar.

Non pervenuta è anche la politica locale, ugualmente di stampo PD. In un qualsiasi altro Comune italiano ci sarebbero state reazioni più dure e il Sindaco con la fascia tricolore sarebbe sceso in piazza pretendendo maggiore impegno nel territorio da parte dell’ENI e risposte dalla Regione sulle infrastrutture energetiche. Viceversa, anche questa volta si rende evidente la tipica posizione “politicamente corretta” mirata a non indispettire troppo il proprio partito di riferimento e i vertici dell’area industriale che lo stesso Sindaco, con doppio incarico, rappresenta presiedendo il Cacip.

La politica, in questo modo, si palesa in tutta la propria inadeguatezza. In modo particolare, il Partito Democratico dà prova di una totale incapacità nel delineare scelte strategiche e nel governare i fenomeni, assumendo un ruolo pilatesco che degrada gli organi politici elettivi alla controfigura di un prefetto o peggio ancora di un amministratore di condominio. Un’immagine che, associata alla Sardegna, rinnega completamente un’intera tradizione di rivendicazioni autonomiste che si presuppone siano patrimonio dell’intera classe politica sarda.

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