Che succederebbe all’Italia senza il Veneto?

È vero che nell’immediato il guadagno del Veneto sarà una perdita contabile per lo Stato italiano, ma una volta gestito accuratamente il periodo di transizione, il guadagno sarà senz’altro per entrambi, e anzi sono convinto che a guadagnarci sarà di più il Mezzogiorno. Pensiamo all’esperienza della Cecoslovacchia che nel 1993 ha deciso di dividersi in Repubblica Ceca e Slovacchia. Il giorno della separazione il reddito pro-capite di uno slovacco era due terzi di quello di un ceco. La ricca Repubblica Ceca ci ha decisamente guadagnato liberandosi della palla al piede slovacca, crescendo mediamente del 2,5 per cento all’anno. Nello stesso ventennio, attraversando la stessa transizione economica post guerra fredda, la Slovacchia è cresciuta in media del 4,3 per cento, ed ora il reddito medio di uno slovacco è praticamente equivalente a quello di uno ceco, entrambi pressapoco 14 mila euro annui.
Ci saranno le stesse dinamiche anche dopo l’indipendenza del Veneto, e territori al momento più periferici come il Mezzogiorno saranno quelle realtà che nel corso degli anni trarranno il maggior beneficio. Prima però è fondamentale che nell’immediato la transizione sia fluida come lo sarà in Scozia. Con tutta probabilità ci sarà un effetto domino, un tana libera tutti come dice Marco Bassani, e oltre ad una confederazione veneta, che mi auguro includa anche le province friulane, dal resto dello Stato italiano potrebbero nascere almeno altri cinque stati indipendenti. Ma per semplicità analizziamo i problemi fiscali di uno stato italiano orfano solo della linfa fiscale veneta, privo di quei 20 miliardi di residuo fiscale.
Il problema per lo Stato italiano, che gestisce 750 miliardi di entrate fiscali, 710 miliardi di spesa pubblica, e grossomodo 90 miliardi di interessi sul debito, non è di per se il netto di 20 miliardi che perderà dal Veneto. L’Italia potrebbe rimediare aumentando leggermente il residuo delle altre regioni virtuose (Emilia, Piemonte, Toscana – la Lombardia la lasciamo stare che è già più tartassata del Veneto) e diminuendo l’emorragia verso regioni cronicamente a credito, soprattutto verso la Sicilia. Non dico sia un’operazione facile dato che tutte le regioni subiscono le inefficienze di uno stato impreparato al ventunesimo secolo e finora incapace di riformarsi dall’alto, ma solo eliminando gli sprechi più evidenti si potrebbero recuperare almeno la metà della ventina di miliardi che non arriveranno più dal Veneto. Su la voce.info Roberto Perotti ha dimostrato in dettaglio come le istituzioni italiane costino il doppio se non il triplo di quelle di altri paesi europei. Non si tratta di attuare licenziamenti drastici, ma di eliminare privilegi scandalosi in Parlamento, in Senato, nelle Regioni, nelle Ambasciate, nei Tribunali, e nelle pensioni d’oro. L’ingiustizia di questi sprechi è stata dimostrata con precisione e non è tollerabile concedere che continuino a sperperare le tasse dei cittadini. Ecco come l’Italia potrà compensare la perdita delle tasse venete, eliminando questi vergognosi sprechi.
Purtroppo, se finora lo Stato italiano si è rivelato incapace di attuare questo tipo di riforme, non sarà in grado nemmeno per far fronte alla perdita delle risorse fiscali venete, e cercherà di ricorrere all’ennesimo aumento di tasse. L’Iva dovrebbe aumentare almeno di altri 3 punti, arrivano al 25 per cento, mentre nel Veneto indipendente l’Iva diminuirà al 15 per cento, forzando le regioni limitrofe a dover seguire l’esempio secessionista per ragioni di sopravvivenza. La morale è sempre quella: l’incapacità di riformare dall’alto provoca una riforma dal basso.
Il problema però non è solo risparmiare 20 miliardi, perché la vera difficoltà è la sostenibilità del debito pubblico. La bomba ad orologeria rappresentata dal debito pubblico non è dovuta tanto al totale in sé, e nemmeno in relazione al Pil, ma dipende dal rapporto con il flusso di entrate al netto della spesa pubblica, e cioè il deficit. In sostanza, il giorno dopo l’indipendenza sarebbe considerato più sostenibile un Veneto con un rapporto debito/pil del 200 per cento, che un’Italia (senza Veneto) con un rapporto debito/pil del 100 per cento. Questo perché il Veneto avrà dall’indipendenza in poi dei surplus stratosferici e volendo sarà in grado di abbattere un’eventuale debito ereditato in pochi anni, mentre lo stato italiano sarebbe destinato a tentare di sopravvivere come sta facendo adesso, ma con meno risorse produttive da tassare.
La Repubblica Veneta non deve ereditare un centesimo del debito pubblico italiano, semplicemente perché non ha contribuito a crearlo. Anzi, dati alla mano, calcolando i residui fiscali degli ultimi trent’anni, è l’Italia ad avere un ulteriore debito di 500 miliardi verso il Veneto. Bisogna però anche guardare a chi detiene il debito pubblico, e considerare che conseguenze ci saranno con un default italiano. Non è tanto questione di reputazione, perché partendo come nuova repubblica indipendente il Veneto verrebbe considerato affidabile per nuovi prestiti, pur non avendone bisogno. È invece una questione di banche commerciali e risparmiatori che detengono il debito pubblico italiano. Loro sono i creditori che ci rimetterebbero da un default, e sono italiani, veneti e stranieri. Come minimo al Veneto conviene garantire il debito pubblico detenuto da banche commerciali venete e dai risparmiatori veneti. Potrebbe anche essere conveniente prendersi a carico parte del debito posseduto da qualche banca straniera in cambio di un appoggio internazionale. Alla fine era questo che importava a francesi e tedeschi durante la questione greca, ed è quello che importerà a potenze straniere riguardo la questione veneta: dove sono i loro schei.
Il debito pubblico italiano attualmente in mano a creditori veneti è quantificabile, ma è prematuro voler mettere un limite superiore alla percentuale di debito/pil che il Veneto sarebbe in grado di accollarsi con il suo enorme surplus fiscale, e mettere un limite inferiore al debito/pil che il resto dell’Italia sarebbe in grado di sostenere senza default. Il punto è che la transizione della finanza pubblica è gestibile tramite una suddivisione ben coordinata del debito pubblico italiano. Questo eliminerebbe i problemi contabili dell’immediato. Fatta questa transizione, tutti avranno da guadagnarci dall’indipendenza del Veneto: italiani, veneti, ed europei.
Do per scontato che indipendenza politica non implicherà barriere di nessun tipo, che siano doganali, commerciali, culturali, finanziarie, o turistiche. Veneto e Italia saranno come Austria e Germania, Francia e Belgio, o Spagna e Portogallo. Molte affinità culturali e geografiche, molta interdipendenza economica, ma completa indipendenza amministrativa. Difatti, l’indipendenza altro non è che una riforma amministrativa che parte dal basso, un’esigenza sentita a livelli plebiscitari da una popolazione succube di uno stato irriformabile dall’alto, e con un senso civico elevatissimo per aver autogestito un esercizio di democrazia diretta da far impallidire gli svizzeri.
Questa riforma amministrativa, è bene ripeterlo, fa bene ai veneti, fa bene agli italiani, e fa bene all’Europa intera. Avvantaggia i veneti per ovvie ragioni contabili. Avvantaggerà il Mezzogiorno perché è risaputo che la stagnazione decennale del Meridione è causata da un assistenzialismo corrotto finanziato proprio dai schei delle tasse provenienti da regioni come il Veneto. Non sarà più un Sud che invoca aiuti dallo stato, un Sud che molto più del Veneto è sopravvissuto ad uno stato considerato per troppi versi uno stato estero. Sarà un Mezzogiorno che saprà produrre ricchezza dalle proprie enormi risorse, turistiche e non, dove l’evasione non avrà più senso perché sarà come evadere a se stessi.
Infine fa bene all’Europa perché vivendo in un mondo globale bisogna essere competitivi, non solo con i nostri prodotti, ma anche con le nostre amministrazioni pubbliche che rappresentano un’infrastruttura condivisa che deve gestire servizi di qualità ad un costo minimo. Lo stato italiano fa male all’Europa perché non è competitivo. Se l’Italia fosse competitiva le ditte venete non sarebbero costrette ad emigrare in Austria. L’Europa non potrà crescere nel ventunesimo secolo se costituita da un oligopolio di nazioni stato. L’Europa potrà crescere solo se le inefficienze intrinseche nel monopolio del servizio pubblico verranno controbilanciate da più stati a dimensione d’uomo e in competizione tra loro per offrire con il minor costo fiscale la migliore qualità di sanità, istruzione, viabilità e pensione e qualsiasi altro servizio che i cittadini decideranno di gestire a livello pubblico.

Lodovico Pizzati, docente di Business Statistics alla California State University di Los Angeles.

Libero, 06-04-14.

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