Margin Call – Quando il Cinema racconta l’origine della crisi economica globale (Inc. trailer)

“Margin Call” Trailer (EN – Wmv), Lionsgate & Roadside Attractions 2011. Con Jeremy Irons, Kevin Spacey e Stanley Tucci.

Non è andata proprio così, ma ci si avvicina.
Torniamo al 2008 di Wall Street. Siamo in una grande banca d’affari USA, una come tante del settore, non importa quale. Ci sono i dirigenti e i sottoposti, quasi non si conoscono fra loro. Ci sono i giovani, fanno con entusiasmo il proprio lavoro sperando nel successo. Ci sono i dirigenti intermedi, guadagnano sull’esperienza, infondono motivazione, il resto è cinismo.
Ci sono anche gli esuberi, quelli che potrebbero fare la differenza ma vengono messi alla porta da una società che per ridurre i costi di gestione preferisce consumare un bagno di sangue. Le sentenze sono inappellabili. Per ogni rotella dell’ingranaggio il futuro è incerto, può essere sostituita o il suo lavoro assorbito dalle altre rotelle.
C’è anche il giovane che scopre gli errori commessi dalla società, prosegue il lavoro di un licenziato. Si profila una catastrofe economica imminente che può abbattersi sulle vite di tante persone normali e soprattutto ignare. Ma il timore è relativo, dall’interno di un ufficio la catastrofe è solo la proiezione virtuale di un modello nello schermo di un computer. La frenesia dei giovani corre e quindi si avvisa il dirigente, che a notte fonda costringe tutti i vertici della società ad una riunione d’emergenza per capire se la gravità della situazione sia concreta o teorica. Qualche veterano della dirigenza non sa leggere i grafici, qualche altro dirigente è troppo giovane per assumere decisioni rilevanti, altri non vogliono sapere: paradossi organizzativi di un sistema dove i numeri contano più dei nomi. Che fare? Trovare una soluzione. E in fretta. E così si scomoda il numero uno, il presidente, l’ultimo grado di giudizio di un sistema che fonda sull’impersonalità l’essenza della sua esistenza nel mercato.
La situazione è veramente grave, la società ha una serpe in seno: prodotti finanziari tossici maturati nel giro di poche settimane. Tenerli significa capitolare, cederli significa “socializzare” le perdite con un mercato ancora ignaro del veleno che potrebbe assorbire danneggiando tutto e tutti. Così arriva il classico input del capitalismo: sopravvivere e andare avanti. La società deve provarci: il veleno verrà ceduto in poche ore a tutto il mercato, prima che il mercato stesso si accorga del contagio a cui è stato sottoposto. E non c’è tempo, neppure per un sonno ristoratore.
Nella banca d’affari tutti si rendono conto della gravità del virus che sta per essere diffuso, ma non c’è spazio per i rimorsi, né per la consapevole volontà di mandare sul lastrico innumerevoli persone: il presidente ha deciso, la società deve sbarazzarsi di questo veleno e tentare la fortuna, la propria.
La condivisione della colpa dentro la società ha un’ancora di salvezza che i cittadini normali non hanno: chi conosce la crisi può gestirne i contraccolpi, e magari guadagnarci anche. Chiamarsi fuori da una simile responsabilità sarebbe peggio. E così – tra nuovi esuberi e nuovi giovani coinvolti – il sistema si ricicla dietro le larghe maglie della legalità finanziaria.
Eppure il dramma è più vasto. Stavolta il bagno di sangue si è portato oltre le mura della società. Ma in fondo che importa? “Sono solo numeri in uno schermo”.

Di Corda Marco.

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