Per il futuro del turismo la principale risorsa siamo noi stessi – Di Davide Romolo Nurra

Lavorando mi è capitato di rovesciare un bicchiere o essermi sbagliato nel prendere un ordine, ma non c’è mai stato nulla che non sia riuscito a risolvere con un sorriso e un “mi scusi, rimedio subito”.
Qualche anno fa avrei certamente affidato questa nota a un quotidiano, sotto forma di lettera; con buone probabilità me l’avrebbero pubblicata nella rubrica dei lettori, in mezzo alle puntuali critiche di fine estate dei turisti in visita in Sardegna. Ho deciso invece di rivolgermi ad internet, certo che le note si diffondano con dinamiche diverse rispetto a quelle della carta stampata e che certamente arrivano agli occhi di chi le deve leggere.
Per chi non lo sapesse lavoro nel “Celler de Can Roca” di Girona in Catalogna: tre stelle nella guida Michelin, reputato uno dei migliori ristoranti del mondo, il secondo, a detta del prestigioso Ranking degli Awards San Pellegrino nel 2011. Porto queste referenze non certo per vantare meriti non miei, ma per supportare le mie osservazioni in base alle mie conoscenze professionali, alla mia esperienza nel campo della ristorazione e della ricezione turistica; un addetto ai lavori che parla con cognizione di causa di un argomento che conosce, un sardo che ha a cuore lo sviluppo sostenibile dell’industria turistica nella propria terra.

Noi sardi in genere abbiamo una propensione passiva e vittimistica nei confronti di tutto ciò che viene d’oltremare, dal cosiddetto continente, reazione giustificata dalla ormai risaputa diffidenza verso i popoli conquistatori e colonizzatori che nei secoli si sono succeduti e che ancora, con modalità e dinamiche differenti, continuano a penetrare nel tessuto sociale e culturale della nostra isola non necessariamente per arrecargli danno ma spesso per arricchirlo.
Lascio che siano però gli storici, gli antropologi, i sociologi e i politici, per la parte che gli compete, medicare le ferite ancora aperte di un passato che ritorna puntualmente a tormentarci come un alibi causa-effetto, come il fantasma di un malvagio parente che abbiamo odiato in vita ma di cui amiamo conservare memoria perché venga puntualmente a ricordarci quanto siamo stati sfortunati e a giustificare le nostre inettitudini e i nostri insuccessi.
Bisogna capire la propria gente per poterla amare, bisogna amare la propria gente per poterla capire. Confesso che a volte ho avuto difficoltà sia a capire che ad amare la mia gente, forse perché non amo quella parte di me che mi accomuna alla mia gente, che mi ricorda quando vivevo in Sardegna e avevo difficoltà ad inserirmi nel mondo del lavoro e aspettavo che la fortuna piovesse dal cielo, finché mi decisi a prendere un aereo e a lasciarmi alle spalle la mia terra e la mia gente, con la prospettiva di ritornare, quando magari fossi stato in grado di fare qualcosa di utile per me e per la mia stessa gente.
Non so se quel momento sia venuto; la Svizzera, Milano e ora la Catalogna, mi hanno aperto le loro porte, mi hanno accolto, mi hanno dato formazione professionale e autostima in cambio del mio entusiasmo e della mia passione nel servire la gente.
Cosa mi ha data la Sardegna? Mi ha dato tanto ma di questo gran tesoro mi sono reso conto solo lavorando fuori dalla Sardegna, quando le caratteristiche positive tipiche del carattere del Popolo Sardo mi venivano di volta in volta riconosciute e apprezzate.
Ora il mio patrimonio è stato ed è l’educazione che ho ricevuto in famiglia, la moralità senza moralismi, l’umiltà senza servilismo, la voglia di lavorare, la correttezza umana che predispone a quella professionale, la pazienza con se stessi e con gli altri, l’amore per i dettagli e per le cose fatte bene.
Vengo al dunque!

La mia critica non riguarda il fatto che una pizza bruciata mi sia stata servita un’ora dopo senza che avessi ricevuto le posate, né che la birra fosse calda, e non riguarda neppure la scadente qualità della carne e del pesce, la preparazione penosa, l’approssimata presentazione nel piatto. No, non cado in questo circolo vizioso, anche se avrei pieno diritto di farlo come cliente che paga il conto spesso salato (e poi dicono che sono i ristoranti stellati ad essere cari ma vi assicuro che la proporzione qualità/servizio/prezzo risulta sempre di gran lunga a favore di questi).
Di che mi lamento? Della assoluta mancanza di educazione, del pressapochismo, della sufficienza con la quale il personale di molti, troppi locali sardi tratta la clientela.
Assoluta assenza di professionalità, risposte inappropriate, confidenza inopportuna e non richiesta, disorganizzazione in cucina e in sala, camerieri che vanno avanti e indietro con le mani vuote o parlano tra di loro di faccende personali, mentre un terzo non di rado strilla in mezzo alla sala inscenando uno spettacolino isterico. Il cliente non addetto ai lavori spesso non si accorge di queste cose ma semplicemente valuta negativamente il complesso del locale visitato.
Le scuse possono essere tante ma al cliente che paga non interessano. C’è molto lavoro? Assumi più personale. Il personale costa troppo? Assumi quattro buoni camerieri professionisti a 1000 euro al mese invece che otto in nero a 400 euro al mese.
E poi tu, imprenditore turistico, ti sei mai chiesto se quello è veramente il tuo lavoro o se lo fai per ripiego?
Il nostro non è un lavoro qualunque e non lo può fare chiunque, contrariamente a quanto si possa presumere.
La clientela va curata, educata, coccolata perché ritorni ancora; se al cliente gli tiri il collo una volta non tornerà mai più e ti farà una pubblicità con i fiocchi che ci meritiamo. Ed è giusto che sia così.

Di Davide Romolo Nurra.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    3 Commenti

    • Davide:hai scritto un pezzo unico,di grande valore,che mostra i problemi legati alla Sardegna e all’essere sardo e che pone una domanda:
      Come cambiare la Cultura dell’ Organizzazione? Dal mio punto di vista credo sia:

      Più difficile cambiare la cultura di una organizzazione esistente piuttosto che creare una cultura di una nuova organizzazione.
      Questo perché quando una cultura d’organizzazione é stata stabilita da tempo, le persone,prima di modificare i loro comportamenti,hanno bisogno di dimenticare i valori, le premesse e i comportamenti antichi, ancor prima di apprenderne di nuovi (teoria della soglia).
      I 2 elementi più importanti per creare un cambiamento culturale sono:
      (1) l’appoggio degli elementi esecutivi e
      (2) il costante impegno giornaliero per poter arrivare al mutamento comportamentale.

      Il Cambiamento di cultura organizzativa é necessario per raggiungere nuove mete. Cambiar, però, non é facile. CI VUOLE come tu affermi:
      TEMPO, COMPROMETTIMENTO, PIANIFICAZIONE, ESECUZIONE.

      Ma, senza dubbio, può esser fatto.
      Basta essere coscienti che il cambiamento che si vuole é necessario e allora il vantaggio sarà dalla parte di chi ha innovato.
      CIO’ NON HA PREZZO.

    • Paolo, ti ringrazio per aver voluto commentare questa mia nota e per averla supportata con il tuo contributo.
      Parli di cambiare atteggiamenti ma io invece mi concentro piuttosto sul conservare quei comportamenti che considero una risorsa per il Paese.
      Purtroppo assistiamo a un impoverimento spirituale delle nostre genti assai più grave di quello economico. In sardo abbiamo un “diciu” che ricorda che “Mellus una terra chen’e pani che una terra chen’e justitzia”.
      Il progresso della Natzione Sarda si costruisce a partire dai valori e dalle fondamenta etiche lasciateci in eredità dagli antenati e ponendo l’accento sui fattori umani di crescita positivi già esistenti nel carattere nazionale del nostro popolo.
      Si tratta di gettare semi di progresso sul terreno umano reso fertile dalla tradizione locale, semi che sarebbe meglio fossero sardi, frutto cioè di elaborazioni concettuali provenienti dalla riflessione sulle necessità della realtà socio economica dell’isola ma che possono e devono arrivare anche dall’esempio di altre culture, laddove questi esempi risultino costruttivi e applicabili alla nostra realtà.
      Lo spirito della mia nota era questo; recuperare il valore aggiunto dell’umanità, la tanto pubblicizzata ospitalità sarda che io vedo con sempre maggiore fatica nel settore della ristorazione e del turismo in Sardegna.
      Essere ospitali presuppone il rispetto per l’ospite, nel XXI secolo rispetto assume nuovi significati che non annullano quelli tradizionali ma li integrano. Insegnamo ai nostri giovani a non perderdere tempo, a studiare le lingue straniere, perchè se è vero che una pizza e una birra sono sempre una pizza e una birra, un’accoglienza sorridente con un rassicurante “Welcome”, come tu hai detto, non ha prezzo.

    • [...] alberghiera. Se la scortesia di alcuni operatori turistici Sardi ormai supera la proverbiale “ospitalità Sarda”, l’ignoranza continua a farla da padrona in tutti gli ambiti del nostro patrimonio [...]

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