Luci ed ombre dello storico dibattito consiliare in fascia tricolore

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Succedono cose strane in Sardegna. Molto strane. Dalla seconda metà di settembre, presso il Consiglio Regionale, è iniziato uno storico dibattito. Il tema? Il disimpegno della Sardegna dallo Stato Italiano. Quello attuale: centralista, dove le Regioni a Statuto Speciale rischiano di essere livellate a quelle ordinarie, sopratutto con l’avvento del federalismo fiscale promosso dal duo PDL-Lega Nord.
Ci sono alcuni partiti, come i promotori sardisti del dibattito, che parlano di indipendenza, altri di nuova autonomia, altri di federalismo. O tutte le cose assieme.
Lo scopo della discussione consiliare è tanto semplice quanto utile: riscrivere il nostro patto con l’Italia e riformare le nostre istituzioni, per tutelare meglio la nostra identità e la nostra economia.

Il Partito Sardo d’Azione ha avuto il merito di aprire questo percorso attraverso una mozione indipendentista. Tuttavia, una volta introdotta, nella relazione dell’On. Maninchedda si è tramutata in una proposta federalista. Poco male. Considerando la totale immobilità delle nostre istituzioni nel corso del tempo, qualsiasi proposta che ha consentito di portare all’attenzione di una stampa distratta il tema dell’autodeterminazione, è un ottimo colpo messo a segno da parte di chi, come tutti noi, ritiene che non il Popolo Italiano, ma quello Sardo, debba essere posto nella centralità dei dibattiti che riguardano il suo futuro.
Il movimento IRS non ha torto dunque quando invita le forze politiche consiliari ad una maggiore coerenza sui termini usati, perché implicitamente invita anche la classe politica Sarda ad uscire dallo storico timore di assumersi delle responsabilità che non dipendano dalle sottane di Roma.
Si tratta di un timore che ovviamente c’entra ben poco con l’istituzione autonomistica in sé, in quanto si tratta di comportamenti esistenti dai tempi del Regno d’Italia, nonostante IRS affermi il contrario.
IRS piuttosto sbaglia nel generare a sua volta confusione su alcune etichette ideologiche che poco e nulla interessano ai Sardi e tantomeno servono al movimento per raggiungere l’amministrazione regionale. E’ proprio questo meccanismo che spinge diverse forze politiche di destra e sinistra ad utilizzare il tema della sovranità quasi fosse una moda elettorale. Ed infatti, una discreta dose dei discorsi sentiti nel Consiglio Regionale al riguardo, parevano più “compitini” scritti da ridicoli imbonitori che non coscienziose relazioni sulla necessità di riformare le istituzioni Sarde.
L’obiettivo è stato comunque raggiunto, sia per opportunismo politico o per sincero interesse di pochi, si è avuto un clima pressoché unanime nel rimarcare la centralità politica del Popolo Sardo di cui facevamo menzione.
Ma siamo di fronte al solito scoglio: come e quando riformare le nostre istituzioni?
Quale processo verrà attivato per conseguire l’obiettivo di una sovranità capace di trasferire dallo Stato alla nostra comunità diverse competenze?

Nel frattempo, l’economia continua a crollare, nel solo Nuorese, la Confcommercio informa che in 2 anni ben 613 imprese hanno chiuso i battenti nella più totale indifferenza generale (Fonte: La Nuova, 1-10-2010); le grandi aziende proseguono nella smobilitazione; il Movimento dei Pastori Sardi occupa i porti a caccia dei carichi di bestiame che inondano il nostro mercato senza un’adeguata strutturazione dei criteri sulla libera concorrenza, mentre il settore Sardo precipita; ma, ciliegina sulla torta, aumentano gli attacchi agli amministratori Sardi (Fonte: La Nuova, 1-10-2010), a conferma del clima di malessere sociale diffuso del territorio. Un’aspetto che purtroppo riapre in noi una serie di interrogativi sui ritardi delle nostre forze politiche (rispetto a quelle italiane) nella capacità di unirsi per far fronte alla mole di problemi che in queste condizioni non possiamo risolvere.
Unità e riforme rimangono dunque parole di attualità ma che necessitano di atti concreti per uscire dai soliti schematismi della retorica politica a cui la Sardegna è drammaticamente rassegnata.
I primi paradossi di questa assenza del nazionalismo politico Sardo li vediamo sempre più spesso nelle piazze: politici e sindacati italiani che manifestano con bandiera e fascia tricolore, senza rendersi conto che proprio quel simbolo è l’emblema per il quale paghiamo i maggiori ritardi e la nostra subordinazione al centralismo italiano.
Noi vogliamo politici con la fascia dei 4 Mori. Lo Stato deve capire che la Sardegna ha dei diritti ed intende esercitarli, senza piagnistei.
Pensate, in Sicilia il PDL tenta di riciclarsi come “Partito del Popolo Siciliano” nel tentativo di sorvolare l’autonomismo dell’MPA di Lombardo, mentre in Sardegna non abbiamo ancora capito il valore ed il peso politico dell’unità. Le proteste di piazza assumono i contorni della “meridionalizzazione”: non si protesta per trovare soluzioni, ma per avere soldi a fondo perduto da sperperare, per poi tornare in futuro alla solita lamentela di una crisi che non è solo ciclica ma strutturale.
Ai nostri timidi, opportunistici ed incoerenti (ma comunque importanti) tentativi di riformare le istituzioni Sarde, si aggiungono vari detrattori, spesso Sardi, a difesa dello status quo.
In larga misura si tratta di personaggi che hanno fatto del clientelismo politico le ragioni del successo della loro carriera. Costoro hanno portato – non solo la Sardegna – ma tutta l’Italia indietro al periodo feudale, nel quale ogni signorotto tutela i suoi interessi di bottega, sfrutta la sua corte di subordinati e consuma le pubbliche ricchezze in una spirale senza ritorno.
Ma il Popolo Sardo? E’ prevalentemente ignaro di ciò che succede, e non solo per un problema di informazione, ma perché i movimenti politici Sardi non hanno mai tutelato e promosso a livello amministrativo la nostra identità ed il nostro sviluppo economico. Essi sono la causa indiretta della pubblica indifferenza.

Dobbiamo andare avanti verso le riforme.

Di Corda M. e B. Adriano.

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    • Bravo Adriano

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