Grecia e dintorni – Grave crisi economica nell’Eurozona

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E’ datata dicembre 2009 la partenza “ufficiale” della grave crisi economica in Grecia, adagiata su quella in corso negli ultimi anni a livello globale, quando vengono alla luce statistiche incoerenti inviate da Atene a Bruxelles sull’andamento dell’economia.
L’assenza di riscontri sulle tendenze in atto ha provocato il declassamento dei bond ellenici – da parte dell’agenzia Fitch – che tagliò a livello BBB+ il rating sul debito di lungo termine, paventando quindi fondati rischi di insolvenza.
Il debito pubblico greco è volato a 300 miliardi di euro, ossia al 113% del PIL e potrebbe salire stabilmente al 120% entro il 2010 (Fonti: ANSA; Borsa Italiana; Thomson-Reuters).
In Grecia si prevede una dura crisi politica, motivata anche dall’incapacità del governo di prendere dei provvedimenti atti a porre un freno alla spesa pubblica.
Il trattato di Maastricht vieta esplicitamente un salvataggio degli stati membri in crisi, è altrettanto certo però che la crisi greca rischia di contagiare anche le altre economie deboli d’Europa con effetti imprevedibili sui cambi e su tutta la comunità monetaria.
Eppure, mentre diversi economisti ed osservatori hanno ipotizzato un default della Grecia ed una sua uscita dall’Eurozona, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha recentemente affermato:
“Se accade qualcosa a un Paese dell’euro, tutti gli altri ne sono coinvolti. Visto che abbiamo una moneta comune abbiamo anche responsabilità comuni”.
Nei fatti, la Germania non sembra tuttavia disposta ad aprire i “rubinetti” del salvataggio verso Atene (in funzione economica interna), ma con la Francia propone la possibilità di accordi per aiuti bilaterali maggioritari (nel quadro UE) ai paesi membri in difficoltà e con un contributo (minoritario) di aiuti da parte del Fondo Monetario Internazionale. Misura quest’ultima che non soddisfa gli europeisti più convinti e la stessa BCE di Francoforte, in quanto l’unità e la credibilità politica dell’Europa dovrebbe essere fondata non solo sul criterio della rigidità sull’osservanza di Maastricht ma anche sulla possibilità di aiutare i partner in difficoltà senza ricorrere al FMI.
Solo il 28 gennaio 2010, al World Economic Forum, il premier Greco George Papandreou, difendeva un piano anti-crisi costituito da proposte che prevedono privatizzazioni miliardarie, un congelamento degli stipendi pubblici sopra i 2.000 euro, una forte lotta all’evasione e riforme strutturali come quella delle pensioni. Non meno sentita dalla popolazione, la recente misura sull’IVA che ha causato diverse proteste pubbliche, riversatesi persino con strascichi polemici nella stampa dell’Eurogruppo, tra cui proprio quella Berlinese.
Il piano anticrisi del premier greco, che promette un deficit all’8,7% entro il 2010 ed al 3% entro il 2012, dovrà passare al vaglio costante dell’Unione Europea, ma nel frattempo si elevano a dismisura i credit defaul swap sul suo debito (ovvero le assicurazioni contro il fallimento di Atene) e, contemporaneamente, giunge ai massimi il differenziale tra il debito greco e quello tedesco (in riferimento all’Eurozona) confermando una certa sfiducia sui mercati.
Ne risente anche la divisa Europea nel cambio con il Dollaro, ma la situazione più allarmante è rappresentata dal rischio di contagio della Grecia sulle deboli economie degli stati Europei più a rischio.
Il 25 Marzo il presidente della BCE avverte che la crisi non è finita e ribadisce l’importanza e la necessità di “un’azione determinata ed efficace per garantire la stabilità della zona euro”.
Dello stesso avviso la commissione Europea, che evidenzia la necessità di rafforzare gli strumenti con cui prevenire simili difficoltà, ed eventualmente sanzionare i Paesi che gestiranno i conti pubblici fuori dai limiti fissati dall’UE.
In realtà oltre il 90% del PIL Europeo è in deficit eccessivo, ma tra i deficit più alti dell’Eurozona bisogna distinguere quelli che possono essere prontamente ridotti dal ciclo economico. Ad esempio, la crisi finanziaria in Spagna ha travolto un’economia caratterizzata dalla bolla immobiliare, una modesta industria manifatturiera ed una elevata disoccupazione.
La Spagna può vantare tuttavia un debito contenuto, appena il 55% del PIL rispetto al 113,4% della Grecia, garanzia di spazi di manova consistenti per politiche di rientro.
Per contro, una nazione con un grande deficit, ma che non si trova sicuramente in uno stato di crisi irreversibile, è l’Islanda (un Paese comunque esterno alla moneta comunitaria).
Il crollo economico Islandese è stato peggiorato sicuramente dalla crisi globale esplosa nello stesso periodo negli Stati Uniti, e questo ha avuto ripercussioni in una crisi politica e finanziaria che ha determinato un conseguente crollo delle banche, a sua volta generatore di controversie tra l’Islanda, l’Olanda ed il Regno Unito: Una delle banche in questione infatti aveva tra i titolari 350.000 cittadini Britannici ed Olandesi.
Al fine di ripagare totalmente tali risparmiatori, hanno avuto luogo degli accordi bilaterali tra i paesi in questione, culminati con un disegno di legge dal governo islandese, in piena crisi politica, secondo il quale, Londra e l’Aia sarebbero state ripagate in maniera compatibile alla crescita del PIL Islandese.
La normativa UE non prevedeva però l’eventualità di un crollo bancario di tipo sistemico e le regole comunitarie non prevedono neppure che, in caso di fallimento, lo schema di assicurazione dei depositi di una banca privata debba divenire di responsabilità del governo di quello specifico paese dove la banca stessa aveva od ha la sede legale.
Fu in quest’ottica che partì una richiesta internazionale di rimborso ai correntisti: tuttavia, nonostante il parlamento votò a favore per l’approvazione di un secondo disegno di legge al riguardo, il Presidente della “Repubblica dei ghiacci” Ólafur Ragnar Grímsson rifiutò di firmare il testo della legge chiedendo di convocare un referendum.
Nel referendum del 6 marzo 2010, il popolo Islandese, mostrando una responsabilità ed una formidabile unità, ha deciso di non confermare il voto del parlamento e quindi non ci sarà un secondo disegno di legge in materia, bloccando un rimborso di 3,4 miliardi di euro.

Un caso a parte è rappresentato dall’Italia, dove i dati sul deficit sono già allarmanti e secondo gli analisti sono destinati a peggiorare. Accendendo la TV, guardando i TG e leggendo i giornali, sembra paradossalmente di vivere nello stato più virtuoso del mondo, ma basta guardarsi attorno per accorgersi che la realtà supera la fantasia mediatica.
Non ci sarebbe nemmeno da sorprendersi con la consapevolezza che quella italiana è una Repubblica che si regge su tutto ciò che viene nascosto ai cittadini.
Mentre falliscono le grandi imprese e si espande l’istituto della cassa integrazione per migliaia di lavoratori, si attuano politiche che riescono (con larga approssimazione) a tamponare il problema a breve termine, destinandolo a replicarsi nel medio-termine.
La macchina burocratica si auto-alimenta dallo sperpero che produce. Si tratta di un economia destinata ad una lenta agonia, con una pressione fiscale sempre più alta; dei salari che sono fermi sotto la media Europea e dei servizi che non funzionano.
Gli esponenti dei partiti politici del governo e dell’opposizione, da parte loro, si ostinano a difendere il centralismo ed il blocco di qualsiasi riforma volta a modificare la rigidità istituzione ed economica dello Stato. Propongono addirittura norme per abbassare il costo della politica, ma sono fattualmente impegnati in una arida propaganda elettorale a tempo pieno per 12 mesi l’anno.
Il tasso di disoccupazione e di povertà continua a salire ma nessuno ha il coraggio di allarmarsi.
Di fronte alle misure ed ai piani da adottare, i governi che si susseguono declinano ogni responsabilità e si scaricano a vicenda la patata bollente in un ciclo vizioso (più che virtuoso) che porterà la barca alla deriva: con tutti coloro i quali hanno la sfortuna di aver fatto parte di questo drammatico “viaggio”.
L’ISTAT ha recentemente comunicato che per l’Italia a febbraio c.a. il saldo commerciale con i Paesi extra-UE ha registrato un deficit di 1.622 milioni di euro, rispetto al deficit di 733 milioni del febbraio 2009.
Intanto la Commissione Europea, con un messaggio al Parlamento Europeo, afferma che per l’Italia -come per altri stati coinvolti- è indispensabile un rapido risanamento dei conti pubblici, poiché una volta che nel trend globale la ripresa avrà preso piede, si dovrebbe poter assicurare una decisa riduzione dell’altissimo livello del debito pubblico.
Per Roma, la Commissione ha tracciato un quadro particolare:
La crisi italiana non viene giudicata temporanea perché, secondo i dati pubblicati da Eurostat, nel 2º trimestre 2009, in Eurolandia il calo del PIL si è arrestato a -0,2% (-0,3% nella UE), mentre in Italia si è attestato a -0,5% ed a questo dato si aggiunge anche l’aumento spropositato del debito pubblico, guidato dal peso crescente dei tassi di interesse; mentre l’iniezione di capitali nel settore bancario è stata e resterà marginale.
A politiche invariate, il “governo” Europeo prevede che nel 2010 “l’attività economica si stabilizzerà ad un livello basso, beneficiando della ripresa della domanda estera e dei consumi dei privati”.
Secondo Bruxelles, le debolezze strutturali dell’Italia continueranno ad essere il macigno di arretramento verso la fase di uscita da questo ciclo di recessione.
Qualcuno ne dubitava?

Grazie per l’attenzione.

Di Melis Roberto.

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    • (ANSA) – MILANO 23 APRILE – Moody’s abbassa il proprio giudizio sul merito di credito della Banca nazionale della Grecia (Nbg), portandoto il rating a A3/P-2 da A2/P-1. Al tempo stesso Moody’s ha messo sotto osservazione per un possibile ‘downgrade’ i rating sul debito di lungo periodo di altre cinque banche greche. Si tratta di Efg Eurobank Ergasias, Alpha Bank SA, Piraeus Bank, Agricultural Bank of Greece and Emporiki Bank of Greece. La revisione, come da prassi, verra’ conclusa entro tre mesi.

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