Mediterraneo: In Libia bombardamenti falsi, ma regime vero

L’emittente araba Al-Arabiya, presente assieme ad altri 130 inviati di media internazionali, tra cui la CNN, conferma l’inesistenza dei bombardamenti aerei filo-governativi che “avrebbero” colpito Tripoli nei giorni scorsi. Le informazioni circolate nei blog ed in varie agenzie di stampa erano evidentemente false e sproporzionate, tendenti al sensazionalismo.
Nonostante questa pessima prova di giornalismo, nella quale bisognerebbe capire quanto l’influenza politico-economica dell’occidente abbia avuto un ruolo, non si può tuttavia omettere la drammatica realtà di un regime sordo alle proteste internazionali e comunque sanguinario nei confronti di una popolazione che ha tentato di rovesciare un potere che controlla la Libia dal 1969.
Sono varie le fonti che negli ultimi tempi si sono accavallate rendendo poco chiaro il contesto nel quale si muove il governo di Gheddafi e la controparte delle milizie popolari. Come poco chiaro appare il ruolo dei supporti esteri alle manifestazioni di dissenso al raìs’.
Le Nazioni Unite hanno varato un primo pacchetto di sanzioni (alle quali si aggiungono quelle UE) che prevedono 3 misure essenziali, in attesa di nuovi sviluppi. La prima riguarda l’embargo del settore delle armi e delle attrezzature antisommossa; la seconda il divieto di rilasciare i visti a 26 notabili del regime libico; la terza il congelamento dei beni del colonnello Gheddafi, di cinque suoi famigliari e di 20 alti funzionari.

E’ innegabile che l’Unione Europea abbia gestito male e con colpevoli ritardi la sua politica estera nel Mediterraneo. Basti pensare nell’ultimo biennio al fallimento del progetto francese di libero scambio culturale e commerciale per l’Unione dei Paesi che si affacciano sul nostro mare. Bruxelles ha infatti concentrato la sua attenzione nell’espansione politica verso l’est europeo delegando (secondo una classica concezione atlantica), la stabilità del nord’Africa musulmano ad una serie di governi autoritari che basano la loro permanenza al potere con la giustificazione di dover contenere le minacce del radicalismo islamico, il quale a sua volta potrebbe minacciare il nostro continente. Una linea che non convincerebbe più diversi settori della Pubblica Opinione araba che ormai – e le sollevazioni democratiche di Egitto e Tunisia lo dimostrano – considerano tali governi come ostili al progresso umano ed unicamente tendenti a soddisfare una stabilità dell’approvvigionamento energetico occidentale da parte dei Paesi esportatori. Un motivo più che sufficiente per osservare la diversità di contesto delle proteste egiziane rispetto a quelle libiche. La Libia è notoriamente uno dei maggiori Paesi esportatori di energia verso l’Europa e verso l’Italia. Ogni anno tra Italia e Libia transitano circa 12 miliardi di euro tra import ed export. L’ENI estrae metà del gas libico e produce giornalmente 108 milioni di barili. Secondo l’analisi della CGIA di Mestre, la Sardegna, la Sicilia e la Lombardia sono i territori più investiti dai rapporti commerciali con Tripoli, tant’è che l’incidenza percentuale del gas e del petrolio sul totale delle importazioni dalla Libia oscilla tra il 95,5% della Sardegna, il 78,8% della Sicilia e il 70,9% della Lombardia.
Numerose imprese edili Sarde vedevano i territori libici con ottimismo per la ripresa del comparto, ma la flessione dei Mercati ed il costo del petrolio alle stelle hanno complicato maggiormente la crisi in atto. Nella SARAS di Sarroch, il 40% del greggio importato è libico, ma i vertici dell’azienda si dichiarano ottimisti avendo l’opzione di poter incrementare gli approvvigionamenti dal Medio Oriente e dall’Asia. L’ultimo esercizio è stato chiuso con perdite in calo e ricavi in crescita del 62%, pari a 8.615 milioni di euro, di cui tuttavia la Sardegna non trae alcun beneficio a causa della nostra fantomatica “Autonomia” regionale.

Eppure non è solo l’incognita economica a doverci preoccupare ma anche l’attuale assenza di istituzioni solide che in Libia dovrebbero guidare il Paese fuori dalla crisi, scenario a cui fa da corredo un disastro umanitario in cui urge un rapido intervento della Comunità Internazionale.
Se in Egitto infatti si può contare sull’esercito, in Libia l’esercito appare diviso tra gli insorti ed il regime di Gheddafi, ragion per cui in queste ore ed in questi giorni si susseguiranno contatti incrociati a vari livelli tra occidente, Tripoli ed insorti per decidere chi raccoglierà l’eredità istituzionale (ed economica) del Paese.
La Sardegna, essendo ovviamente priva di una propria politica estera, rimane tuttavia colpevolmente priva di una classe dirigente che si dimostra miope ed incapace di far sentire la sua voce in questo drammatico frangente. Circostanza la cui sola e cinica utilità pratica sarà quella di poter incrementare il turismo estivo che quest’anno diserterà la sponda sud del Mediterraneo occidentale.

Grazie per l’attenzione.

Di Roberto Melis.

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Articolo correlato: La Sardegna di fronte alla crisi egiziana e tunisina.

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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