Il caso: Lo Stretto di Hormuz al centro della tensione internazionale

Lo stretto di Hormuz è uno spazio marino lungo 60 km e largo 30, che separa l’Iran dalla penisola arabica con Musandam, territorio Omanese degli Emirati Arabi Uniti.
E’ una parte altamente strategica e gode della forte attenzione delle potenze mondiali, basti pensare che tramite le petroliere, transita circa un quinto di tutta la produzione mondiale di greggio.
Con le nuove sanzioni a Teheran, il grande pensiero degli Americani è stato quello di ostacolare il programma nucleare iraniano, la Casa Bianca ha intrapreso le azioni per congelare i beni di qualsiasi istituzione finanziaria straniera che contraesse relazioni con la Banca centrale iraniana nel settore petrolifero.
L’obbiettivo è ostacolare l’incasso degli introiti di vendita del greggio mirato ai Pasdaran (le guardie della rivoluzione in capo alle forze armate) e gli Ayatollah (il clero sciita al potere politico), causando quindi un indebolimento finanziario dei maggiori esponenti iraniani e riducendo di fatto la possibilità di sostenere la politica militare del Paese, basata sull’espansionismo bellico.
Una eventualità che non trova impreparati i Pasdaran che negli anni scorsi hanno stretto rapporti diplomatici ed economici con i Paesi che non fanno parte della NATO (tra i quali la Cina, l’India, l’America latina, ecc).

In seguito alla minaccia degli USA e dell’UE di sanzionare l’Iran in risposta al programma nucleare di Teheran, da quanto emerso l’8 dicembre 2011 nel rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, il Governo Iraniano ha minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz. Un rapporto che tuttavia avrebbe spinto la Russia a raffreddare l’accrescersi della tensione verso l’Iran invitando alla prudenza. Ma la risposta statunitense alle minacce di chiusura dello Stretto è arrivata lo scorso 3 gennaio con il transito nel mare arabico della portaerei a propulsione nucleare USS John Stennis e l’incrociatore lanciamissili USS Mobile Bay di stanza in Bahrein, manovre precedute dalle dichiarazioni dell’Ammiraglio della V° Flotta USA di stanza nella regione.
In seguito alla decisione di Teheran di inserire mine nello stretto, con il velato obbiettivo di attaccare le petroliere occidentali occupate nel transito del Golfo, gli USA avrebbero attivato la dotazione di difesa accrescendo il livello di attenzioni sulle acque attorno a Hormuz.
Secondo voci di intelligence riportate da vari organi di stampa, gli Stati Uniti vorrebbero intraprendere azioni militari preventive contro Teheran (anche segrete e in accordo con Israele), provvedimenti che in passato sono stati adottati dalle forze armate USA e introdotti nella dottrina militare, nonostante il Diritto Internazionale non li riconosca come legittimi.
Nel frattempo proseguono le esercitazioni militari iraniane lungo lo Stretto, il Capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane Hassan Firouzabadi ha elogiato i progressi scientifici e militari dell’Iran avvertendo l’occidente, e indirettamente le monarchie sunnite del Golfo (puntualmente armate dagli USA), relativamente alle capacità di risposta contro eventuali attacchi.
Il ministro della Difesa Ahmad Vahidi ha rilanciato gli avvertimenti e ricordato alla Comunità Internazionale che la presenza di forze non regionali nel Golfo Persico rappresenta una seria minaccia alla stabilità della regione (ANSA, 04-01-12).
Da parte sua se il Pentagono tiene alta la vigilanza, la Casa Bianca ha dichiarato di non voler avviare operazioni su vasta scala nello Stretto.
Seguiamo l’evolversi della situazione.

Di Roberto Melis.

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