Grand Budapest Hotel
L’ultimo incontro Trump-Zelensky è andato esattamente come tutti si aspettavano: dopo la telefonata con Putin, il tycoon ha messo in pausa l’ipotesi di inviare missili Tomahawk agli ucraini, e assieme al criminale di guerra del Cremlino ha concordato un nuovo incontro bilaterale a Budapest.
La vicenda ha spinto il Wall Street Journal a pubblicare un insolito editoriale in cui si invita direttamente Trump a concedere i Tomahawk all’Ucraina: “Give Ukraine the Tomahawks, Mr. President”.
A questa posizione è seguito pure il Kyiv Independent in termini poco ortodossi, con un linguaggio chiarissimo: “Presidente Trump, non caschi ancora una volta nelle stron*ate di Putin”.
Posizioni inequivocabili, perché tutti gli osservatori hanno immediatamente colto un punto: più si ciurla nel manico, più Putin andrà avanti con la sua sanguinaria impresa senza via d’uscita, bombardando civili ucraini inermi senza ottenere rilevanti avanzamenti al fronte, sfiancando inoltre risorse umane e materiali della Russia.
Zelensky e gli europei, in primis per bocca del cancelliere tedesco Merz, hanno risposto in maniera altrettanto chiara: si al tentativo di pace trumpiano, ma la pressione su Putin deve aumentare, il supporto a Kyiv rimane indiscutibile.
L’impressione è che l’amministrazione Trump abbia le idee confuse sul da farsi, e denota frustrazione nel non aver prodotto alcun risultato in Ucraina dopo il relativo successo del Medio Oriente.
Il presidente USA pretende che russi e ucraini cessino le ostilità sulle attuali linee del fronte, ma la richiesta appare più un’ingenua posizione di principio che non coglie gli aspetti più problematici del conflitto. Per esempio, pensiamo che il governo ucraino possa abbandonare al proprio destino milioni di cittadini ancora sotto occupazione russa nei territori contesi?
O che si possa spiegare alle forze armate ucraine che hanno combattuto quasi quattro anni per poi lasciare al nemico ampia parte del Donbass e l’intera Crimea?
Di converso, anche Putin non ammetterebbe mai di aver fallito il progetto di annettere, non solo l’intera Ucraina, ma neppure il solo Donbass.
La guerra è dunque destinata ad andare avanti, ma stavolta sembra esserci una novità politica.
Come già osservato da vari analisti, si tratta della scelta di Budapest come prossima meta dell’incontro Trump-Putin, che trascina con se alcune inevitabili considerazioni politiche.
La metropoli ungherese, oltre ad essere il luogo in cui gli ucraini cedettero la propria deterrenza nucleare, rappresenta la spina nel fianco dell’asse antirusso europeo. E nonostante l’Ungheria riconosca l’autorità della Corte Penale Internazionale, si da per scontato che il governo Orban si opporrà all’arresto di Putin.
Allo stesso tempo però, Trump invierà Marco Rubio come testa di ponte del dialogo di pace.
In sintesi, da un lato il presidente americano porta con se un uomo gradito alla diplomazia europea, al posto dell’incapace Witkoff. Dall’altro tuttavia sfida e mina l’autorità della CPI, che gli USA non riconoscono, sul suolo europeo.
Contemporaneamente, la mossa consente pure a Putin di sfidare apertamente le cancellerie europee recandosi indisturbato in una nostra capitale.
Alcune voci preliminari riferiscono che Putin dovrebbe volare scortato anche da aerei turchi, dunque aerei NATO, attraverso la Serbia, evitando quindi paesi come la Polonia in cui altrimenti verrebbe probabilmente intercettato e costretto ad atterrare per poi essere arrestato.
La mossa di Trump potrebbe rappresentare un disperato e maldestro tentativo di convincere gli europei ad una “pax trumpiana” orientata a chiudere subito il conflitto, cercando così ancora una volta di imporre ai nostri paesi l’accettazione di un congelamento del fronte, senza una chiara vittoria ucraina.
L’Europa ovviamente non cederà a questa ennesima debolezza americana, perché un congelamento della situazione di crisi equivarrebbe, come detto più volte, a rimandare a posteriori la prosecuzione del conflitto, e probabilmente in termini ancora più onerosi e sanguinari del presente.
Dunque cosa succederà? Probabilmente ben poco, i paesi europei hanno solamente due opzioni.
La più improbabile: forzare la mano a Trump e rischiare di entrare direttamente in guerra con la Russia. Ossia intercettare il volo di Putin e costringerlo ad atterrare per poter essere arrestato, persino in Serbia.
Ma ovviamente su questo punto pesano le incognite sulla risposta che potrebbero dare gli apparati rimasti al potere al Cremlino.
La più plausibile: fare finta di nulla, congratularsi con Trump per i suoi numerosi e inutili tentativi di dialogo per la pace, accettare il vertice di Budapest, e proseguire ad armare gli ucraini per sfiancare la Russia. Tutto ciò nella speranza che Trump si convinca pure ad inviare i Tomahawk senza ulteriori perdite di tempo.
Notate inoltre che Trump non ha escluso di consegnare i famosi missili in seguito, in cambio di droni ucraini.
Esiste anche una terza opzione di difficile interpretazione per noi comuni osservatori, e apparentemente priva di solidi riferimenti nelle cronache della politica internazionale: settimane fa Zelensky aveva annunciato l’esistenza di un piano di cui non poteva parlare pubblicamente, articolato in più fasi, per indurre il Cremlino a fermare la guerra.
Ecco, non sappiamo se il volo su Budapest sia parte di tale piano, o se lo sia la querelle sui Tomahawk, oppure se tutto ciò sia semplicemente il frutto, come sembra, della confusione americana.
Non ci resta che attendere il prossimo spettacolo ungherese, mentre Putin utilizzerà anche questa ennesima offerta trumpiana per bombardare indiscriminatamente le città ucraine.
Adriano Bomboi.
Scarica questo articolo in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE










