Bucarest-Roma, sola andata
In Romania al primo turno si è affermato il candidato dell’ultradestra Simion, e ha buone possibilità di essere confermato anche al ballottaggio.
Leggermente più “moderato” del precedente candidato Georgescu, rischia di minare la coesione UE e NATO sul fronte orientale dell’Europa, allargando il club dei presidenti euroscettici, sul modello Orban, in una fase storica di ampie insidie provenienti dalla Russia, presenti e future.
Il problema di fondo rimane: quanto c’è di realmente democratico nel voto a Simion e quanto di questo voto è stato pilotato da Mosca?
Sappiamo per certo che la campagna di Simion è stata alimentata dall’onda proveniente dal supporto social, spesso malevolo, che ha poi spinto Georgescu fuori dai giochi. Ma l’impossibilità di arrivare ad una risposta certa evidenzia la portata dei vantaggi che regimi come Mosca possono ottenere dalla manipolazione delle nostre democrazie, chiaramente incapaci di fronteggiare la montagna di narrazioni e fake news ostili al progetto europeo e soprattutto alla democrazia in senso lato.
Perché se è perfettamente legittimo criticare l’UE ed auspicarne una riforma, in chiave meno burocratica, non è sicuramente condivisibile l’idea di voler demolire l’UE per guardare con simpatia ad un modello tutt’altro che democratico, come la Russia di Putin.
Lo studioso Jonathan Gottschall, nel suo saggio “Il lato oscuro delle storie”, ci ha messo in guardia da questo labile confine tra critica e demolizione presente nella narrazione pubblica. Un confine in cui possono annidarsi avversari delle nostre libertà democratiche, che sfruttano il malcontento popolare per orientarlo verso soluzioni di facciata che in realtà distruggono la coesione sociale.
Qualcosa che il mondo ha già sperimentato più volte nella prima metà del Novecento, ossia il demagogico vizio di usare la democrazia per poi distruggerla dall’interno, un fenomeno contro cui dovremmo essere vaccinati. Ma è anche un fenomeno che forse le Corti Costituzionali non riescono più a monitorare a dovere nell’era dei social, dove anche il semplice cittadino può a sua volta rilanciare e diffondere narrazioni generate da potenze ostili, senza comprenderne le origini, la regia, la portata e le conseguenze.
Se osserviamo il caso italiano, tutti i principali sondaggi indicano che al momento non vi sono particolari problemi di “tenuta democratica”. Partiti come i democristiani FdI e PD, seppur inquinati da elementi populisti, continuano a rimanere in testa al gradimento popolare e tengono una linea orientata in chiave UE e NATO.
Viceversa, nonostante tutto l’attivismo social, forze populiste come Lega, 5 Stelle e appendici più radicali, non sembrano racimolare nuovi pesanti consensi.
Ma per quanto durerà? Il trend rimarrà stabile o nei prossimi anni muterà in senso negativo?
La politica georgiana sta lì a dimostrare che non possiamo dare nulla per scontato.
Se osserviamo il panorama social e mediatico italiano, il bombardamento di narrazioni populiste è ormai praticamente continuo e sistematico.
A partire dall’annuncio del piano “ReArm Europe”, e dall’ordine di Mosca di dipingere l’UE e von Der Leyen come “nazisti”, la rete è stata invasa da una miscellanea di messaggi che variano di tonalità, dal più moderato al più oltranzista, nell’attacco e anche nel dileggio ai vertici europei. Al punto per cui la Commissione UE viene dipinta come un covo di mostri guerrafondai, mentre il Cremlino sarebbe un club di anime candide.
Gli autori locali di questi messaggi si dichiarano tutti “democratici”, e tanti effettivamente lo sono, ma poi nei fatti propugnano soluzioni autolesioniste per i nostri interessi, come quella di non sviluppare la nostra Difesa mentre attorno all’Europa infuriano guerre e leader autoritari che cercano ogni soldo possibile per armarsi maggiormente.
Sono messaggi che non troviamo nella stessa intensità nella maggior parte dei paesi europei. O quantomeno, si tratta di messaggi che non riescono a fare sufficientemente presa nel pubblico, che probabilmente ha strumenti culturali migliori per rimanerne immune, rispetto al nostro degrado etico e culturale. Un problema per cui non si intravedono soluzioni facili e a breve termine.
Chi scorre la home di Facebook oggi non trova unicamente le proposte dell’algoritmo, ma anche i messaggi preconfezionati e sponsorizzati per un vasto pubblico. In entrambi i fronti passano narrazioni a senso unico.
Qualche esempio?
Parte un reel col giornalista Sigfrido Ranucci che esprime dissenso alla presunta “militarizzazione dell’Europa”. Come se armarsi meglio significhi immaginare i bimbi dell’asilo con l’elmetto sulla testa, come avviene realmente in Russia, peraltro. Finito il reel appare uno dei numerosi messaggi di deputati grillini o leghisti che ci informano della loro “battaglia contro il bellicismo dell’UE”. Scorriamo la home e appare una delle numerose pagine “civetta” in cui si esalta questo o quel personaggio, guardacaso sempre gli stessi. O Conte, o Travaglio o affini, introdotti dalla didascalia: “Senza alcun dubbio, il miglior politico/giornalista italiano”. Con una maggiore incidenza, sempre per pura coincidenza, negli ultimi mesi.
Chi ci sarà dietro? Non lo Spirito Santo immaginiamo.
Si possono anche bloccare queste pagine, ma ne appariranno mille altre dello stesso tenore.
Non si fa in tempo a sorseggiare un aperitivo che nella home appare un post di Elio Lannutti, ex presidente Adusbef, che rilancia una vignetta di von Der Leyen vestita da nazista, presa da chissà dove nel web e accompagnata da un articolo di Travaglio. Ormai non ha neanche più senso chiedersi se il tizio dell’Adusbef sia apparso in quanto sponsorizzato, o per semplice proposta dell’algoritmo, pur non avendolo tra i contatti.
Dopodiché appare il reel di un canale finanziato dallo Stato cinese, in cui appare Medvedev che parla ad una platea mentre minaccia i paesi baltici.
Ironia della sorte, poco dopo appare il collegamento ad un video di Santoro, tratto da qualche “imparziale” trasmissione di La7, in cui ci spiega che “i russi non stanno minacciando nessuno”.
E se il piatto non fosse abbastanza indigesto, si aggiunge l’apparizione di una vignetta di Vauro dove von Der Leyen appare con un coltello in mano, nei panni del protagonista di una nota saga di film horror.
Dopo pranzo tornate su Facebook e trovate un certo Ugo Rossi, consigliere comunale di Trieste, che stringe la mano all’ambasciatore russo in Italia Paramonov, complimentandosi della “vittoria patriottica contro il nazismo”. Come se gli angloamericani non fossero mai esistiti, o come se l’URSS non sia mai stata alleata del Terzo Reich.
Come digestivo, bicchierata di troll che lanciano meme contro von Der Leyen, accompagnata da missili ed esplosioni varie sullo sfondo.
Insomma, mettetevi nei panni di un qualsiasi utente dallo scarso spirito critico, cioè una buona fetta della popolazione italiana, e chiedetevi: “cosa mai potrebbe votare alle prossime elezioni un individuo sottoposto ad un simile bombardamento mediatico?”
Perché oltre i social c’è anche la TV, nei cui talk serali si ripetono a grandi linee gli stessi contenuti, con gli stessi personaggi, dietro una finta patina di “neutralità” ed “imparzialità”. Una vera e propria invasione.
Lo stesso Travaglio ci ripete spesso che lui non è un pro-Putin, salvo ripetere per filo e per segno la propaganda di Putin, e salvo essere uno dei principali punti di riferimento dei putiniani italiani.
Un autentico “democratico” insomma, quasi un “libertario”, dove qualsiasi opinione deve avere spazio, a patto che non debba confrontarsi con qualche interlocutore che gli ricordi la realtà.
In conclusione, iniziate a preparare il famoso kit di sopravvivenza europeo. Forse ne avremo bisogno.
Adriano Bomboi.
Scarica questo articolo in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE