Perché fallì il Protocollo di Minsk sulla pace nel Donbass? Il caso degli indies sardi
Perché fallì il primo Protocollo di Minsk sulla pace nel Donbass?
Per capirlo osserviamo il comunicato di un gruppo indipendentista sardo in materia di guerra, molto interessante perché evidenzia nel dettaglio sia la sua confusione che l’infiltrazione della propaganda del Cremlino, si tratta di “Repùblica”. E ci offre l’occasione per argomentare precisi fatti storici.
Partiamo da un passaggio significativo, il gruppo scrive:
«Auspichiamo [...] la soluzione diplomatica riguardo il rapporto tra Ucraina e Repubbliche di Donetsk e Lugansk sulla base dei criteri stabiliti dal Protocollo di Minsk.»
Chi ha scritto queste righe non sa proprio nulla dei criteri stabiliti col protocollo di Minsk, perché questi NON riconoscevano l’esistenza di alcuna repubblica del Donetsk e Lugansk, ma stabilivano il contrario. Le parti negoziali erano esclusivamente Ucraina e Russia.
Gli indipendentisti sardi invece, a differenza di scozzesi e catalani, qui riconoscono l’esistenza di tali “repubbliche” fantoccio della Russia.
Il Protocollo di Minsk prevedeva che Kyiv decentrasse alcuni poteri amministrativi a favore dell’Ucraina orientale, senza alcuna indipendenza. Ma fallì perché, poco dopo la firma, i territori in questione svolsero elezioni farsa per la piena indipendenza, sotto tutela armata russa, e annullando quindi quanto aveva stabilito la Russia stessa con l’Ucraina, come riconosciuto dall’OSCE, attaccando poi militarmente gli ucraini con la seconda battaglia dell’aeroporto di Donec’k.
In sostanza, la Russia ha prima firmato un accordo il 5 settembre 2014 e l’ha violato dopo appena 10 giorni, il 16 settembre 2014, perché ha acconsentito ad elezioni fasulle nel Donbass, non previste da Minsk 1, e le ha poi supportate militarmente con uomini e armi, un ulteriore elemento di violazione delle disposizioni di Minsk 1, che invece prevedevano la smilitarizzazione dei numerosi gruppi paramilitari russi, in larga parte non originari del Donbass.
Notare poi che gli ucraini in quello stesso lasso di tempo avevano già legiferato in buona fede per concedere una relativa autonomia del Donbass, rispettando la propria parte dell’accordo, ma Mosca ha fatto saltare tutto con la duplice violazione politica e militare.
Ciò premesso, passiamo ad un altro passaggio degli indipendentisti sardi:
«L’Unione Europea e il governo italiano vogliono far pagare alla società il conto della guerra in Ucraina, un conflitto innescato da scelte politiche, geostrategiche e militari piegate agli interessi degli Stati Uniti d’America.»
Questo passaggio è un altro leit motiv della propaganda russa diffusa in Italia, dimostrandoci quanto costoro siano culturalmente più italiani che europei. Perché c’è l’idea che il conflitto in Ucraina sia stato alimentato “dagli americani” e non dall’imperialismo russo. Come se questi poi non rappresenti un costo tanto per gli americani quanto per gli europei.
Tali indipendentisti infatti, paradossalmente, affermano di essere europei, ma al contempo non reputano utile difendere i confini europei, dimostrando così di essere ancora ideologicamente inseriti in una visione nazionalista della sovranità, che ha nell’Italia grillo-leghista i suoi più autorevoli esponenti.
Altro passaggio significativo:
«Appare evidente che la decisione dell’UE e di altri Stati di aumentare ulteriormente la spesa militare non corrisponde affatto alla realtà oggettiva esistente giacché gli investimenti Russi nel 2023 in materia di armamenti sono meno di un terzo rispetto a quelli dell’Europa.»
Come già argomentato da Andrea Gilli (NATO Defense College), la spesa russa in difesa non è affatto così inferiore a quella europea, secondo l’IISS di Londra e il SIPRI di Stoccolma la spesa russa pesa per 140bn €, cioè quasi la metà di quella UE. Ma c’è un problema più serio.
Quale?
Che in Europa un proiettile costa 10 euro e in Russia 1 euro, pertanto, nella comparazione a parità di potere d’acquisto, la Russia può produrre 5 volte più proiettili dell’Europa. Ed ecco perché il piano europeo di riarmo è orientato a risolvere anche questo problema. Nel frattempo in Germania la Rheinmetall ha già avviato investimenti al riguardo.
Concludiamo questa breve disamina, che avremmo potuto estendere con ulteriori argomenti, con i confusi desideri di quest’area dell’indipendentismo sardo:
«L’Europa deve saper costruire una propria posizione propositiva in termini di sicurezza e di indipendenza politico-militare rispetto agli altri portatori di interessi mondiali.»
Su questo passaggio siamo d’accordo, e quindi perché si è espressa contrarietà al piano di riarmo UE?
Come intendono costruire una posizione propositiva in termini di “indipendenza politico-militare” se si dicono contrari al piano di riarmo?
Come bilanciare i potenziali rischi alla sicurezza da vicini europei ostili, e che, seppur oggi indeboliti, stanno lavorando a pieno ritmo per essere più armati di noi?
Si tratta della stessa posizione del centrosinistra italiano, egemonizzato dal grillismo filorusso, che sta bloccando una seria assunzione di responsabilità nella costruzione della sicurezza del futuro, e dunque nell’interesse dei nostri figli.
La Sardegna ha bisogno di una proposta indipendentista, democratica ed europeista più seria.
Adriano Bomboi.
Scarica questo articolo in PDF
U.R.N. Sardinnya ONLINE