Corongiu: ‘indipendentisti si sporchino le mani’, Cumpostu: ‘non cedere’

Di Adriano Bomboi.

Post-Comunali 2016. Il dibattito a grandi linee è sempre lo stesso: c’è chi invoca minor verginità dell’indipendentismo e chi sostiene la linea più coerente. In altri termini, finite le elezioni, dopo l’ennesimo successo sardista e dopo l’ennesimo disastro indipendentista, ci si interroga su come coniugare la necessità di permettere anche ai secondi una crescita politica nelle amministrazioni della nostra isola.

Afferma Giuseppe Corongiu, ex dirigente del servizio linguistico regionale: “gli indipendentisti prendano atto delle leggi elettorali ed entrino a sporcarsi le mani con l’amministrazione. Solo così nasce un ceto dirigente. Questa è la politica: una guerra che ha le sue sporche regole. Se rifiuti le regole, non puoi giocare o giochi a bordo campo in perenne riscaldamento”.

Secondo Bustianu Cumpostu, coordinatore di Sardigna Natzione, piegarsi a questa logica della premialità implicherebbe il rinunciare alla propria identità politica, perché cedere ad alleanze con partiti italiani snaturerebbe l’ideale indipendentista, esprimendo unicamente un sardismo di facciata.

Eppure, cari Corongiu e Cumpostu, credo di non essere l’unico tra gli indipendentisti a ritenere che abbiate entrambi ragione.
Per un verso, è lecito aspettarsi, così come già accaduto in altre nazioni senza Stato, che l’indipendentismo non si riduca alla sola testimonianza, raccogliendo la sfida di amministrare le nostre comunità. Per un altro verso, è altrettanto lecito aspettarsi che non si possa alterare l’identità di un progetto politico con alleanze che ne minano i principi. E allora come coniugare questa contraddizione?
Nel modo più semplice e pragmatico possibile. Ad esempio nelle amministrazioni comunali gli indipendentisti potrebbero affiliarsi con tutte quelle forze che si presentano tramite liste civiche, senza i simboli dei partiti italiani di riferimento. Ciò oggi non avviene in misura sistematica: in alcuni Comuni è già accaduto, in altri no. In altri ancora si potrebbero sviluppare convergenze con le forze sardiste, tradizionalmente associate ad una strategia di coalizione con partiti italiani.
Ovviamente, sviluppare tale linea richiederà da parte degli indipendentisti la volontà di superare alcuni steccati ideologici, come ad esempio quelli di rifiuto verso candidati provenienti dal centrodestra italiano. Considerando inoltre che i candidati locali dovranno pur tenere conto delle esigenze di alternanza e di rinnovamento richieste dalle popolazioni locali. Ecco perché, non necessariamente, l’unione tra sardisti e indipendentisti locali dovrebbe puntare ai favoriti in campo, valutando dunque caso per caso il contesto politico corrente. Se a Cagliari la giunta Zedda continua ad essere sopravvalutata, anche in ragione dello sperpero di soldi pubblici per cantieri che sarebbe stato preferibile lasciare nelle tasche delle attività fallite, l’indipendentismo non può non prendere atto dell’orientamento popolare, e non dovrebbe colpevolizzare la stessa natura umana per le scelte corporativistiche che si sono manifestate. Viceversa, in Comuni come Nuoro e Siniscola, dove il commercio e la società civile hanno scelto di mandare a casa amministrazioni che dopo vari mandati hanno perpetuato la stagnazione economica, non ci sono ragioni per le quali gli indipendentisti, a prescindere dal sardismo, non avrebbero dovuto prendere in esame l’ipotesi di sviluppare un dialogo con quelle forze desiderose di un cambiamento. Ciò purtroppo non è avvenuto. Nei Comuni in cui determinate maggioranze si presentano oltre il secondo mandato le possibilità di vittoria sono sempre maggiori rispetto alla forza di un sindaco che si presenta al suo primo “rinnovo elettorale”. Si tratta di una critica che naturalmente può essere rivolta, in un altro senso, anche ai sardisti: perché questi ultimi talvolta si alleano con vecchie volpi della politica che poi in realtà i cittadini spediscono a casa.

Esaurita però l’opinione politica si può passare a quella politologica. Chi studia i sistemi elettorali è ben consapevole che le strutture del voto, nei contemporanei Stati nazionali, sono orientate a mantenere l’equilibrio sociale delle forze in campo. In questi termini, tutte le proposte politiche radicali, anche per fattori culturali, tendono a collocarsi ai margini dello scenario elettorale, mentre chi partecipa al gioco è spinto a “normalizzare” la propria ideologia conformandola ad una prassi di stabilità del sistema. Ed è infatti ciò che accade al sardismo inserito in un contesto economico assistenziale, che vede cedere la sua componente riformista a vantaggio di quella clientelare, riducendosi all’ordinaria amministrazione. Ed ecco perché, al netto di ogni elezione, sia sardisti che indipendentisti, che governino o meno, non riescono a riformare una realtà attraversata da tali elementi di conservazione.

Cambiare tale realtà, o quantomeno inserirvi il virus del cambiamento, significa intraprendere il coraggio di allearsi con tutte quelle categorie oggi in difficoltà (non ho citato per caso il commercio), e significa essere meno rigidi nella disponibilità a sviluppare alleanze anche con chi potrebbe non condividere al 100% la nostra ideologia.

Pensiamoci.

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