Sulcis e crisi ALCOA: ne parliamo con Mureddu (CISL) dopo incontro col Governo

Di Adriano Bomboi.

Appena un anno fa sono stato ospite di una trasmissione nella radio del Sulcis in cui ci confrontammo con un consigliere regionale di SEL in merito alla crisi dell’ALCOA, multinazionale dell’alluminio. La mia tesi era che la Regione stesse cercando di guadagnare tempo, sfruttando gli operai lungo una vertenza infinita e con poche prospettive di rilancio della produzione. Temo di non essermi sbagliato. Allo stesso tempo, tuttavia, dobbiamo rifuggire l’idea che l’isola possa reggersi sul solo turismo, senza trovare un punto di equilibrio tra il passato di una “Rinascita” che impose un’industria pesante poco competitiva, ed un ecologismo esasperato che oggi rischia di condurci verso l’immobilismo. Un’autentica transizione economica richiederebbe un radicale approccio liberale, senza fasulle zone franche o improbabili ricette agricole. Parliamo della situazione attuale con Manolo Mureddu (delegato FSM-CISL per l’azienda).

Cos’è la superinterrompibilità chiesta da Alcoa per uscire dallo stallo?

La superinterrompibilità è uno strumento che garantisce, per chi ne usufruisce, tariffe energetiche competitive e riequilibrate rispetto a quelle mediamente garantite in ambito europeo. Viene concesso dal governo italiano previa autorizzazione dell’Unione Europea e riguarda, in particolare, le due principali isole italiane, che in virtù della propria condizione insulare manifestano instabilità per quanto riguarda la gestione della rete energetica. Con la superinterrompibilità, così come per l’interrompibilità semplice, l’ente fornitore può interrompere la fornitura di energia elettrica in qualsiasi momento, in particolare in quelli dove si manifestano picchi elevati di consumo per la rete, in cambio di un sostanziale sconto sulle tariffe.

Cosa è emerso dal vostro ultimo incontro col governo a Roma? Solite promesse elettorali?

L’ultimo incontro a Palazzo Chigi è servito per fare il punto sulla vertenza e capire a che livello sono arrivate le interlocuzioni politiche con il principale acquirente, Glencore, e gli altri potenziali che ultimamente si sono fatti avanti. Un momento delicato che segna l’avvio della fase finale della vertenza iniziata nel 2009 col Governo Berlusconi e che dal 2012 ha registrato la chiusura dello stabilimento, sotto l’esecutivo dei tecnici guidato da Mario Monti, notoriamente imposto da Bruxelles. In tutti questi anni il reale problema irrisolto da tutti i governi che si sono succeduti è stato quello dei costi delle tariffe energetiche. Da una parte l’Europa obbliga l’Italia (e di conseguenza le aziende energivore operanti nei suoi confini nazionali) a rispettare le regole sulla libera concorrenza, dall’altra non garantisce pari condizioni di competitività permettendo identiche tariffe energetiche tra tutti i paesi comunitari. Questo significa – per stabilimenti fortemente energivori come Alcoa – un insostenibile aggravio dei costi, visto che la prima voce in bilancio, di gran lunga superiore a quella del costo del lavoro, è proprio quella energetica. A proposito di ciò, l’attuale governo, dopo la doccia fredda dell’Unione Europea che nel dicembre scorso ha concesso lo strumento della superinterrompibilità per soli 2 anni, rinnovabili di 1 (durata insufficiente per qualsiasi acquirente e per l’ammortamento dei relativi investimenti), ha elaborato insieme alla Regione Sardegna e al delegato per l’attuazione del Piano Sulcis, l’On. Cherchi, una proposta di abbattimento delle tariffe energetiche che permetta, senza ricorrere in alcun modo ad aiuti di Stato e quindi a contributi pubblici, di far fronte ai dieci anni minimi di tariffe riequilibrate richieste da Glencore. Al momento questa proposta è sotto valutazione da parte della multinazionale Svizzera che la riterrebbe ineccepibile dal punto di vista tecnico ma da un altro punto di vista nutrirebbe invece perplessità per quanto riguarda le garanzie politiche e sul fatto che la stessa proposta negli anni mantenga inalterata la propria efficacia. Perché in Italia, come tristemente noto, a differenza delle altre democrazie occidentali: governo che viene, leggi, rapporti e accordi che vengono modificati. Un approccio ingiustificabilmente ideologico quanto irresponsabile che genera una forte incertezza i tutti i potenziali investitori privati che non si sentono garantiti nel medio e lungo periodo. La stessa Alcoa cessa la propria attività in Italia per questo preciso motivo, dopo la clamorosa multa da parte dell’Unione Europea. Di conseguenza la vera partita, in queste ore, si gioca proprio sul grado di credibilità politica che il governo riuscirà a trasmettere all’acquirente Glencore (e agli altri potenziali) che si esprimerà in merito alla proposta governativa (definita oramai l’ultima e immodificabile) entro pochi giorni. Il sindacato metalmeccanico, dopo lunghi periodi nei quali il governo non trovava la quadra nella definizione degli strumenti energetici (e in virtù di ciò perseguiva la strada dei continui rinvii onde evitare una risposta negativa da parte degli acquirenti e quindi il fallimento della vertenza), pretende una risposta definitiva su questa vicenda che prescinde nella sua estrema complessità dalle competenze specifiche della Regione e dalla dialettica elettorale in ambito amministrativo e quindi decisamente locale.

Che differenze ci sono tra il gruppo Eurallumina e Alcoa?

La prima produce allumina, la seconda il prodotto finito, ovvero l’alluminio. Appartengono entrambe alla filiera dell’alluminio ma sono o possono essere indipendenti l’una dall’altra. E’ sostanziale anche la differenza nelle problematiche che hanno portato, in entrambi gli stabilimenti, alla fermata degli impianti. Eurallumina ha una proprietà che non ha mai abbandonato Portovesme e che ancora oggi vuole investire il proprio denaro sulla base di un preciso piano industriale che ha avuto ultimamente un rallentamento a causa della burocrazia e dell’estremismo di alcuni isolati ambientalisti che supportati a più livelli hanno tentato in tutti i modi di ingenerare un clima di diffidenza e opposizione al riavvio dello stabilimento. Ex Alcoa, come detto in precedenza, non ha una proprietà e aspetta di essere rilevata.

Qual è la situazione degli ammortizzatori sociali?

La situazione, complessivamente, vede circa 50 lavoratori dell’indotto che hanno già perso l’ammortizzatore sociale in mobilità, ai quali a dicembre se ne aggiungeranno (tra lavoratori diretti e indiretti) ulteriori 250. Una condizione difficile che potrà trovare soluzione esclusivamente con l’acquisizione dello stabilimento e il riavvio dello stesso. Vista anche l’assenza totale, in ogni ambito, di alternative occupazionali nel territorio. In questo contesto, sindacalmente, abbiamo avviato delle continue interlocuzioni con l’assessorato regionale al lavoro per promuovere politiche attive per il lavoro che possano da una parte garantire una minima copertura economica ai lavoratori, e dall’altra una riqualificazione degli stessi per, eventualmente, renderli competitivi rispetto a qualsiasi nuova opportunità di ricollocazione lavorativa. Ovviamente, anche in questo caso, il problema è quello delle risorse economiche nonché nella nuova normativa insita nel jobs act che non permette l’avvio di progetti di questo tipo se non collegati a reali opportunità di sviluppo economico-lavorativo che nel nostro territorio, purtroppo, scarseggiano. Registriamo infine, che in Sardegna, anche rispetto a questa materia, paghiamo un diverso approccio dello Stato centrale che in altri territori deindustrializzati (Mestre, Gela, etc.) ha concesso ulteriori pacchetti di ammortizzatori sociali per far fronte alla grave e straordinaria condizione economico-sociale, mentre da noi prende tempo…

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