I tempi d’oro dell’industria mediatica del banditismo sardo

Di Adriano Bomboi.

“Michele punta l’arma alla fronte del vecchio, pigia sul grilletto, è una baraonda di colpi, anche Demoniottu ne lascia partire uno, a casaccio, la mano tremante, con rischio di prendere i compagni. Il sangue schizza dappertutto, macchie larghe sul bancone, sui muri, sulla faccia dei tre, e grumi di cervella”.

Sono le parole di Giuseppe Fiori per l’inchiesta sulla “società del malessere” (1968). L’episodio riguardava la tragica rapina di un gruppo di banditi a danno di Giovanni Cherchi, tabaccaio di La Caletta di Siniscola. Eppure, oltre la ricostruzione del dramma in chiave pulp, tra le pagine di Fiori si scorgeva un elemento fondamentale trascurato da sociologi e opinionisti vari ogni qualvolta ci si trova a commentare oscure notizie di cronaca. Notizie come quella dell’assassinio del giovane di Orune. Epoche e contesti completamente diversi.

L’elemento rilevato da Fiori consisteva nel sottolineare a più riprese la psicologia e lo stile di vita dei banditi. Sin da allora, i giovani briganti in questione non erano più i servi-pastore della Barbagia più impenetrabile ma figli di buona o modesta famiglia, dipendenti presso qualche azienda manifatturiera dell’epoca. Operai di Sassari, Mores e Bitti interessati a sfrecciare con la loro Giulietta spider per le vie della Sardegna. Affascinati dai miti cinematografici del tempo e volenterosi, armi in mano, di emulare le gesta di Graziano Mesina, autore di una leggendaria fuga dal carcere di San Sebastiano.

Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso si sviluppò una intensa produzione mediatica capace di amplificare quella visione romantica del bandito, eroe-ribelle, ma anche spietato, che un tempo in Sardegna era appannaggio esclusivo della poetica popolare. Ai comunicati delle forze dell’ordine si sommarono i nuovi bollettini radiotelevisivi (sempre più numerosi nella Sardegna della “Rinascita”); una stampa onnipresente ed un grande schermo che si confrontava con alcuni dei più grandi mali oscuri della Prima Repubblica: il terrorismo, i servizi deviati, i presunti colpi di Stato e la costante minaccia eversiva all’incolumità pubblica, cui faceva da sfondo una spregiudicata criminalità urbana, non più rurale, che nella violenza trovava l’alto indice di gradimento per le proprie azioni. Nacque così il sottogenere denominato “poliziottesco”, dove tuttavia, sulla scia del cinema internazionale, la denuncia sociale cedeva il posto all’intrattenimento puro e semplice. Attori come Maurizio Merli, Franco Nero ed Henry Silva furono i portavoce di un’epoca. I titoli delle pellicole brillavano per eloquenza: “Banditi a Milano” del 1968, ispirato alle gesta della banda Cavallero. “La polizia incrimina, la legge assolve”, del 1973. O “Roma a mano armata”, del 1976. Ma nel folto pubblico di lettori, ascoltatori e frequentatori di sale non si trovavano solo giovani banditi ma anche tanti giovani agenti di Polizia e Carabinieri. I messaggi di tale invasione mediatica diventeranno una moda e forniranno autorità, anche per tutti gli anni di piombo, ad un concetto estremamente diffuso: la legge non era in grado di garantire l’ordine, il sistema era inaffidabile, e i suoi stessi agenti avevano l’imperativo morale di farla rispettare in barba ai regolamenti. Si giustificava così uno Stato oltre lo Stato, dove si era legittimati ad agire in deroga a qualsiasi formula democratica.
Difficile dire se il clima di escalation nell’accettazione della violenza abbia ispirato anche le scelte degli agenti che parteciparono alla drammatica battaglia di Osposidda del 1985, sequestratori inclusi. E’ certo che in quegli anni i bar, le bettole e i cortili di mezza Sardegna non mancavano di ostentare musicassette e vinili narranti le ballate dei criminali locali. Fra questi è da ricordare il lavoro della storica Fonocrom di Bellano (Como), che lanciò dei 45 giri sulle gesta di Graziano Mesina, “La primula nera del Supramonte di Orgosolo”, con tanto di episodi sulle varie fasi della sua esperienza criminosa.

Oggi delinquenza, crimini e genocidi vari viaggiano nel globo, elevandosi a vero e proprio franchising a cui abbonarsi (come l’ISIS). E forse la nostra unica speranza andrebbe riposta nel vigilare affinché le istituzioni contemporanee evitino di ripetere gli errori del recente passato.

- Anche su Sardegna Soprattutto.

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