Sa die de sa Sardigna, i ritardati e l’unità d’Italia

28 de abrili 2011, sa die de sa Sardigna: festa della nazione di serie b. Non la nazione italiana ma quella Sarda, che in tanti abbiamo colpevolmente contribuito a stroncare sul nascere.

La data vorrebbe ricordare il 28 aprile 1794, giornata che vide la rivolta dei Sardi contro il viceré Balbiano e gli italo-piemontesi, costretti alla fuga da Cagliari in seguito al rifiuto del governo sabaudo di accogliere le richieste di maggiori privilegi per le istituzioni dell’isola.
Simbolicamente, quella adottata nel 1993 fu dunque una legge il cui spirito avrebbe dovuto consegnare ai Sardi una festa di popolo capace di stabilire un momento di coesione sociale all’insegna della riflessione sul nostro passato.
La liberazione della Sardegna negli intenti dei rivoluzionari fu un tentativo di liberazione dal giogo feudale ed una ostilità ad una monarchia sorda ed incapace di rappresentare le speranze di sviluppo dell’isola, speranze ancora oggi presenti.
Ma è con grande amarezza che dobbiamo constatare quanto il 28 aprile sia una festa non ancora pienamente valorizzata dagli stessi Sardi che la considerano un evento secondario, magari anche meno importante rispetto alla festa della liberazione italiana dal nazifascismo del 25 aprile. Eppure si tratta di eventi storici completamente diversi ma per i quali non può esistere alcuna gerarchia dettata da pregiudizio ideologico.
Non si possono tuttavia colpevolizzare i Sardi per questa mancanza, ben pochi conoscono il sangue fatto versare dalla monarchia a quei patrioti che tentarono di spazzare via il feudalesimo e rimodernare l’economia e la politica dell’isola.
Nelle scuole la nostra storia non si studia. Si tratta probabilmente di un passato troppo ingombrante ed imbarazzante da spiegare ai nostri concittadini da parte della politica italiana e così si preferisce tenerla in secondo piano, quasi non debba essere neppure una data festiva. I paradossi li troviamo persino nei programmi scolastici della Pubblica Istruzione dove, ad esempio, nello studio della rivoluzione francese non viene integrato il riflesso che l’illuminismo ebbe sulle sollevazioni Sarde ed in particolar modo nella persona di Giovanni Maria Angioy, il più celebre esponente di quella stagione storica.
A questo deficit culturale si somma la conseguente crisi d’identità dei Sardi, incapaci di valorizzare al meglio il proprio territorio e succubi di un sistema che ci ha portato ad accettare acriticamente la nazione italiana senza porci riflessioni e possibili alternative politiche.

Se in una qualsiasi nazione estera per un dato eroe si celebrano le lodi con opere pubbliche, piazze, monumenti e musei, in Sardegna, dopo quasi un ventennio di celebrazione di una ricorrenza come il 28 aprile si tratta il tutto con indifferenza, e ci si rifugia in una masochistica reverenza verso una nazione italiana che sembra fare ogni cosa per annullare la nostra specialità identitaria e territoriale.
In queste condizioni il 28 aprile non solo non può diventare un momento di coesione del Popolo Sardo attorno alla sua capacità di emancipazione, ma neppure può aspirare a proporsi come elemento di attrattività turistica.
La responsabilità di chi è? Ovvio: della classe politica regionale di centrodestra e centrosinistra, la quale, in parecchie sue componenti ignora a sua volta la storia del proprio territorio. O non si avrebbe spiegazione per la disparità di trattamento tra, ad esempio, il 28 aprile e il 17 marzo (data della festa per l’unità d’Italia), datosi che per la seconda sono stati stanziati ben 1.385.750 euro da parte della Regione, dei quali 635.750 euro sono stati devoluti dopo un ulteriore delibera con la quale si era sostenuta l’esigenza di arricchire il programma di eventi destinati a celebrare la ricorrenza nel territorio. Se quindi per “sa die de sa Sardigna” non si stanziano adeguati fondi a sua promozione e magari con la scusa della crisi economica, per il 17 marzo invece pare non esserci stata alcuna crisi, come ha affermato anche l’esponente del ProgReS Frantzisku Sanna*.
Spetta ancora una volta alle forze del nazionalismo Sardo, come i partiti indipendentisti ed autonomisti (tra cui Fortza Paris), chiedere conto all’amministrazione regionale di questo manifesto ritardo culturale nella tutela del nostro patrimonio storico e morale che l’isola non può vedersi continuamente portato via.
Quest’anno si è infatti raggiunto il limite della malafede e del grottesco: secondo una notizia dell’ANSA dello scorso 26 aprile, la Regione infatti festeggerà “sa die de sa Sardigna” all’insegna dell’unità d’Italia. Ovvero le vittime celebrano i carnefici, in una ridicola ed imbarazzante patacca storica nella quale parecchi politici nostrani sono parsi evidentemente afflitti da una qualche “sindrome di Stoccolma”, o non si avrebbe spiegazione per questo assurdo e provocatorio parallelo ideologico tra rivoluzione Sarda ed unità d’Italia.

*frantziscusanna.net.

Di Roberto Melis.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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