Dal rinascimento mediceo alla neutralità elvetica

Dalla Firenze del Rinascimento alla Svizzera contemporanea il policentrismo amministrativo, tra i vari, ha saputo offrire all’umanità due importanti contributi: il primo consiste nel prestito con interesse, formidabile strumento per l’accrescimento della ricchezza. Il secondo, non ancora diffuso, consiste nell’impossibilità di sviluppare una politica estera aggressiva. Vediamo di cosa si tratta e qual è il filo conduttore che unisce esperienze istituzionali così lontane tra loro nella storia – Di Adriano Bomboi.

Si è soliti pensare che tra i più grandi contributi all’umanità offerti dal Rinascimento vi sia soprattutto quello culturale, inteso nella sua dimensione artistica, mentre si tende a sottovalutare la sua dimensione economica, da cui ricevette impulso.

Tra i protagonisti di questo fermento culturale si annoveravano, tra i vari, i Medici di Firenze. Come altre illustri casate di banchieri, questi intuirono quanto il lavoro costituisse un moltiplicatore di ricchezza, capace di accrescersi grazie al prestito di interesse (e di circolare, grazie alle lettere di cambio).

Lo sdoganamento del prestito di interesse, allora considerato usura dalle autorità ecclesiastiche, fu conseguito anche grazie al mecenatismo artistico, finanziando la costruzione e l’abbellimento di importanti luoghi di culto e non. Oltre a ciò, i Medici raggiunsero il “soglio di Pietro” con ben tre Pontefici: Leone X°, Clemente VII° e Leone XI°, consolidando le proprie strategie di potere in una penisola italiana che nei secoli accrebbe la sua influenza culturale ed economica grazie a precise caratteristiche istituzionali: con origini nell’età comunale, la prima fu rappresentata dal policentrismo amministrativo del territorio. La seconda fu conseguita grazie ad un ondivago grado di autonomia rispetto alle mire degli eserciti stranieri, tra cui quelli del Sacro Romano Impero e del Regno di Francia. La terza, non meno importante, con il coinvolgimento del potere economico nell’amministrazione della politica cittadina.

Il fiorino diventò così una delle valute più affidabili d’Europa, paragonabile sul mercato all’odierno dollaro statunitense od al franco svizzero, e contribuendo all’espansione del sistema creditizio che ha dato i natali al capitalismo moderno.

Ma cosa rimane nelle istituzioni contemporanee del vecchio continente di principi che guardavano all’autonomia istituzionale ed alla libertà dei commerci? Sfortunatamente non molto, soprattutto a partire dalla nascita di forti Stati-nazione, in particolare dall’Ottocento al presente.

La costante e massiccia intromissione degli Stati centrali in economia ha avuto un peso persino nello scardinare l’ingenuità di quanti ritenevano che un governo forte sarebbe stato in grado di evitare le instabilità e le tensioni belliche dei secoli precedenti. La storia del ’900 ha drammaticamente mostrato come l’accresciuta forza degli Stati abbia causato le più sanguinose guerre della storia dell’umanità, con ben due conflitti mondiali divisi da un arco temporale di appena vent’anni l’uno dall’altro, seguiti da ulteriori conflitti regionalistici.

Nonostante tutto, proprio nel cuore dell’Europa esiste una comunità che esprime echi di quegli antichi principi, a partire dalla sua neutralità bellica rispetto a tutti i maggiori teatri di crisi presenti sullo scenario internazionale. Ovviamente stiamo parlando della Svizzera. Ma cosa ha spinto un Paese così potente, sul piano economico, ad evitare serie campagne militari?

Vari osservatori offrono due argomentazioni piuttosto banali: la prima è che la posizione geografica della Svizzera non richiederebbe particolari necessità di difesa dai vicini alleati, forti e pacifici (ma in realtà nella storia, pensiamo al Terzo Reich, non è stato sempre così). La seconda è che la cultura stessa degli svizzeri sarebbe poco propensa ad imbarcarsi in qualsiasi avventura militare, peraltro senza avere un numeroso esercito alle spalle (ma anche questa spiegazione non offre sufficienti schemi di interpretazione per giustificare la condotta di politica estera del Paese). Esistono invece altre due argomentazioni piuttosto serie: una di natura istituzionale; la seconda di natura fiscale.

La prima è che in Svizzera manca un forte governo centrale, i Cantoni esercitano la loro sovranità anche sul capitolo della Difesa. Questo primo elemento mostra dunque come i Cantoni, portatori di esigenze e interessi relativamente difformi l’uno dall’altro, si sono orientati nel costruire un modello di Difesa destinato letteralmente alla “difesa” della Confederazione stessa, senza possibilità di sviluppare strategie offensive di matrice imperialistica.

La seconda argomentazione consolida la precedente: i Cantoni, detentori di una sovranità fiscale di tipo asimmetrico (con 26 sistemi fiscali diversi), non hanno alcun interesse economico ad accrescere il proprio prelievo fiscale per finanziare un centro politico dedito a dilapidare soldi pubblici in ulteriori forme di interventismo militare oltre quelle previste (difesa delle frontiere e ordine pubblico interno).

In altri termini, non esiste un salvadanaio centrale, svincolato dal parere dei Cantoni, che consentirebbe al governo federale di attingere denaro per partecipare a qualsivoglia campagna militare ritenesse lecita.
Per sintetizzare ulteriormente il concetto possiamo dire che non esiste alcuna figura istituzionale che possa dire ai Cantoni quali azioni militari intraprendere sottraendo loro risorse contro la volontà dei contribuenti: questo è un principio fondamentale del diritto pubblico elvetico.

In conclusione, come avrete ben intuito, nel mondo contemporaneo stiamo assistendo non ad un avanzamento verso una sana accumulazione di ricchezza (i dogmi dello Stato pianificatore hanno ormai svuotato di significato i ruoli del credito, della finanza e della politica monetaria); ma persino ad un arretramento nella concezione della difesa e della sicurezza, delegando a dei centri politici sempre più estesi, poteri e risorse coi quali pretenderebbero di dirci in quale modo garantire la nostra integrità fisica ed economica.

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