Santità, solo il capitalismo ci può salvare

Di Marco Bassani.

Di fronte all’ultima enciclica, la prima interamente attribuibile all’attuale pontefice, sorgono spontanei due interrogativi. Il primo è se vi sia in Vaticano un madrelingua capace di rendere in volgare toscano decente un mucchio di corbellerie sul pianeta. Evidentemente no. La seconda domanda è più rilevante e di sostanza. Che cosa la nostra Chiesa e le religioni in generale possono dirci sull’economia? Ossia sul modo di produzione della vita materiale dell’uomo, tanto per usare il gergo di un autore caro a papa Francesco. La risposta è ancora negativa: nulla, nada, nisba.

Il fatto è che le principali religioni sono antichissime, hanno tutte età che si contano in decine di secoli e la prudenza suggerirebbe quindi di affrontare temi, appunto, religiosi. Che so, Dio, l’uomo, la famiglia, la morale, insomma non mancherebbero dati permanenti e immutabili dell’umana avventura sul pianeta sui quali riflettere. La nostra religione ha circa duemila anni. Si è strutturata e ha influenzato la vita degli uomini d’Europa in un mondo nel quale la ricchezza era giustamente pensata come un dato non accrescibile. In un’economia di sussistenza, è naturale, chi si arricchisce lo fa a scapito degli altri. Con la frode, con l’inganno, attraverso malversazioni o manodopera schiavista alcuni si garantivano privilegi e ricchezza sottraendole ad altri. La nostra religione ha quindi visto sedimentarsi una serie di giudizi e pregiudizi sull’economia nel corso dei secoli e le correzioni sono avvenute molto in ritardo.

Un esempio chiarirà meglio la questione. Il divieto dell’usura fu una vera e propria “ossessione” per l’Europa cristiana. Pur non trovandosi in nessuna parola specifica di Cristo, il divieto era un modo per proteggere la povera gente da forme di schiavitù appena mascherata. In un’economia di sussistenza, come quella alto-medioevale, il credito non aveva una funzione economica: i prestiti erano al consumo. E quindi l’esigenza di salvaguardare le fasce sociali più deboli, l’impegno al “sostentamento dei poveri” spinsero ben comprensibilmente la Chiesa all’adozione di misure precauzionali. Dal Primo Concilio di Nicea (325 d. C.) e poi nei Concili di Cartagine (345 d. C.), Aix (789), terzo Lateranense (1179), secondo di Lione (1274) e Vienna (1311) il divieto di prestar danaro ad interesse fu ribadito costantemente. L’usura era considerato un patto diabolico, stipulato dall’umanità col demonio nella notte dei tempi. Gli usurai erano dipinti dalla Chiesa un po’ come gli evasori fiscali oggi: individui spregevoli, nemici e traditori della cristianità, complottisti come quelli del Bilderberg, in breve, gentaglia alla quale doveva essere negata la sepoltura. Ma nel frattempo l’economia stava mutando: i mercanti attraversavano l’Europa e necessitavano di capitali per le loro imprese nel mutuo “interesse” di creditori e debitori. L’economia non era più di pura sussistenza e il prestito a interesse era determinato da ragioni profonde. Quanto ci mise la Chiesa a comprendere il nuovo clima economico? Oltre mezzo millennio, ossia fino al 1745, quando papa Benedetto XIV riconobbe la liceità degli interessi nell’uso del denaro.

Il capitalismo è una forma di cooperazione umana, che si sviluppa dal Medioevo maturo in poi per poi trovare una via definitiva di realizzazione nel corso del Settecento inglese.  Da allora si è progressivamente istaurato un modo di produzione della ricchezza fondato non sulla frode, ma sulla mutua cooperazione e sulla dipendenza reciproca. Nel mercato, proprio perché vi è cooperazione, tutti dipendiamo da tutti, serviamo e siam serviti. È l’istituzione in sé meno egoistica del mondo, giacché proprio per realizzare i nostri scopi siam costretti a realizzare i fini degli altri. Il che vuol dire che occorre mettere le priorità degli altri al primo posto proprio per realizzare le proprie. Una sorta di messa al bando dell’egoismo che il Papa non comprende, ma che è il vero statuto absconditus degli uomini che interagiscono sul mercato. Forse fra un paio di secoli la Chiesa comprenderà la forza, la potenza e il portato profondamente umano del “mercato”, ossia del potere dell’uomo sulla natura e smetterà di glorificare quello del “governo”, vale a dire il potere di un gruppo di uomini su altri uomini.

Nel frattempo tutti gli sforzi intellettuali di questo pontefice si stanno convogliando nel tentativo di annichilire lo strumento stesso di emancipazione della povera gente, minandone le basi culturali e in alcuni passaggi, accostando la fiducia nel libero mercato a schiavismo e pedofilia! Si legge, infatti, “123. La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto … riducendola in schiavitù … è la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia”. La capacità creativa di milioni e milioni di semplici uomini e donne che ogni giorno scambiano e cercano di costruire per sé e per i propri cari piani di vita dignitosi, viene nei fatti ostacolata, compressa e spesso annientata dalla rapacità dei governi e del fisco. Un bonario Papa che piace a tutti sta facendo anche di peggio dal punto di vista intellettuale: si è posto a capo di una crociata anti-mercato fondata su premesse false, equivoci e illogicità conclamate. Mentre i governi per mantenere milioni di manutengoli distruggono la possibilità di produrre e scambiare liberamente nei loro territori, la massima autorità morale del pianeta li esorta a continuare imperterriti nei loro intendimenti. Secondo il papa, infatti, “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo … perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. La visione clericale dell’economia è tutta racchiusa in questa frase: le risorse sono un dato, la ricchezza è uno stock, occorre che diminuisca in Europa per aumentare altrove. Se Gesù Cristo avesse avuto la stessa mentalità di papa Francesco non avrebbe mai moltiplicato né pani, né pesci, ma li avrebbe semplicemente suddivisi fra tutti, anche a costo di lasciare meno di un boccone a testa.

L’Intraprendente.

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Redazione SANATZIONE.EU

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