Agricoltura distrutta dalle tasse e dalla PAC. Sardegna nella classifica dell’ignoranza economica

Produrreste un chilo di mele da vendere a 5 centesimi se farlo ve ne costasse 20? Ovviamente no.

La trasmissione di La7 andata in onda lo scorso 12 ottobre ha avuto il coraggio di dire chiaramente quanto tutti sanno ma pochi vogliono ammettere: l’agricoltura è distrutta dallo Stato e dall’Europa. Il primo annienta il comparto grazie alle tasse, che nel settore, in alcune realtà del Paese, arriva ad incidere per il 78% dei ricavi. La seconda perché sostiene la PAC, che non ha nulla a che vedere col libero mercato ma sovvenziona i gruppi produttivi più forti, mentre i produttori minori subiscono la concorrenza dei maggiori. Per essere più chiari, si usano i soldi dei contribuenti per fare concorrenza alle produzioni locali, incluse quelle Sarde.
Ma c’è qualcosa di ancor più paradossale: in Veneto, dopo che la Regione ha agevolato tramite sovvenzioni anche i produttori minori, oggi sovvenziona gli stessi per distruggere il raccolto che non può essere venduto (3 centesimi per ogni chilo triturato). Questo succede perché la concorrenza dei produttori maggiori determina comunque il prezzo del prodotto all’ingrosso, mentre i produttori minori, pur ricevendo assistenza, non riescono a contrastare questo tipo di concorrenza drogata da sovvenzioni dall’alto. Ecco perché anche in Sardegna, al dettaglio, abbiamo derrate agricole provenienti da Spagna e da tanti altri Paesi che superano tanto in quantità quanto a prezzi inferiori le nostre produzioni locali. Si tratta di una forma di dumping.
A Padova, lamenta la Coldiretti provinciale, i frutti vengono lasciati direttamente sugli alberi, all’ingrosso il prezzo unitario di un chilo di mele è crollato fra 2 e 3 centesimi. Perché spendere per raccogliere ciò che non si vende? Ma soprattutto, perché produrre? Forse per alimentare il teatrino politico di ricevere denaro pubblico per lavorare a vuoto e poi riceverne ancora meno per distruggere il frutto dell’inutile lavoro?
Non si tratta solo di mele naturalmente ma dell’agroalimentare nel suo complesso (ad esempio il prezzo di un chilo di patate si aggira mediamente sui 5 cents), mentre il Governo perde tempo a parlare di articolo 18 senza parlare di riduzione delle tasse, incluse le accise sui carburanti.

In Sardegna non sembrano esserci soluzioni di ampio respiro a tali problemi, il politicantismo locale rimane aggrappato alla logica dell’assistenza, quella che ha determinato proprio l’attuale situazione di crisi del comparto (spingendo alla desertificazione delle campagne). Mentre i produttori locali, figli della stessa cultura assistenzialistica, non comprendono l’importanza di battersi seriamente per liberare il mercato dalla politica. In tutto ciò i nostri intellettuali dimostrano tutta la loro inconsistenza, essendo sempre occupati a denunciare inesistenti “neo-liberismi” rispetto alla drammatica realtà di istituzioni centrali italiane ed europee divenute ormai più dirigiste dell’ex Unione Sovietica.
D’altronde gli asini non mancano, secondo la classifica emersa dall’indagine Pisa-Ocse sulle competenze economiche territoriali, la Sardegna risulta al terzultimo posto fra le Regioni (peggio di noi solo Campania e Sicilia).

Che sia tempo di intraprendere soluzioni democratiche più coraggiose?

Adriano Bomboi.

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