Referendum e poligoni: In Scozia si decide l’indipendenza, in Sardegna si viene bombardati

Di Adriano Bomboi.

Mancano meno di dieci giorni ad una svolta che potrebbe cambiare il volto dell’Europa. Il 18 settembre la Scozia voterà per il referendum sull’indipendenza dal Regno Unito, per sciogliere lo Scotland Act del 1707 che da oltre tre secoli unisce il popolo scozzese a quello britannico. I sondaggi vedono i favorevoli al 51% dei consensi. E come prevedibile, da mesi gli unionisti non mancano di presagire disastri economici qualora la sterlina dovesse abbandonare Edimburgo. Del resto non si tratta di una novità: nel corso degli anni Venti, all’alba dell’indipendenza irlandese, politici e “analisti” inglesi tentarono a più riprese di demoralizzare i rivoluzionari paventando la fame che “avrebbe colpito” Dublino. La storia dimostrò il contrario, l’Irlanda seppe costruire una Repubblica indipendente, e, non più sfruttata fiscalmente, culturalmente e territorialmente da Londra, col tempo divenne anche una buona partner commerciale del Regno Unito. Eppure il presente è ancora più interessante, per alcuni semplici motivi. Ad esempio perché oggi inglesi e scozzesi hanno scelto la democrazia per risolvere i loro problemi di convivenza. Nel 2013 il parlamento di Londra ha riconosciuto il diritto della nazione scozzese ad indire un referendum sull’indipendenza, e rispetterà il responso delle urne. Al contrario, in Italia ciò sarebbe impossibile, perché la Costituzione “più bella del mondo” (come solo i comici possono definirla), proclama la Repubblica come indivisibile, alla faccia dei popoli che avrebbero il diritto di decidere quale politica economica e culturale offrire alla propria comunità.
In Scozia è difficile capire cosa succederebbe in caso di vittoria del si, sicuramente vi sarebbe un periodo di transizione per adattare le vecchie istituzioni autonomistiche riformandole in chiave repubblicana. O più semplicemente, il parlamento di Edimburgo potrebbe assumere le funzioni mancanti che attualmente sono assegnate a Westminster, come in materia di Difesa, welfare, sovranità monetaria e gestione energetica (vedere il petrolio dei mari scozzesi), mentre il Capo di Stato potrebbe rimanere, sul piano simbolico, Elisabetta II° d’Inghilterra (l’ipotesi sarebbe verosimile nel caso di un secondo referendum per decidere fra monarchia e repubblica). A tal punto la Scozia entrerebbe nel novero dei Paesi del Commonwealth, indipendenti de facto, formalmente sudditi della monarchia britannica. Come Canada o Australia.
Ancor più complesso prevedere i riflessi di una vittoria indipendentista nel resto d’Europa. I governi conservatori inglesi potrebbero spingere per una uscita dall’Unione Europea, limitando così l’autoritarismo burocratico di Bruxelles.

Ma nel frattempo in Sardegna succede qualcosa di completamente diverso. Ricordiamoci che Roma usa la nostra isola per ospitare il 65% dei poligoni militari di tutto lo Stato. Bombarda il territorio, inquinandolo, e senza il minimo ritorno economico per la Regione, mentre lo Stato centrale incassa i proventi delle esercitazioni. Va sottolineato dunque che non si tratta di antimilitarismo fine a se stesso. In un contesto simile anche i nostri amici militari si rendono conto dell’abuso in cui si è tradotta questa sproporzione di responsabilità, e chiederemmo volentieri alla Regione Lazio di rilevare il peso di questa ingombrante presenza.
Per capire il clima culturale che ci separa dalla Scozia bisogna leggere le affermazioni del presidente della Regione Pigliaru, il quale, dopo che a Capo Frasca i militari hanno incendiato 32 ettari di macchia mediterranea, ha scritto al Ministero della Difesa con la richiesta di far cessare i bombardamenti estivi nei poligoni militari. Un atto più ridicolo che pratico, in cui si chiede di esser bombardati tutto l’anno meno che per pochi mesi, perché il turismo ne risentirebbe.
Ma quale turismo poi? Quello tassato dallo Stato con l’IVA al 10% sui servizi turistici? In Europa la media è sotto il 5%. Oppure quello che non potrà mai visitare in sicurezza le aree attorno a Teulada? Mari e spiagge inquinate, e nuraghi semidistrutti dalle esercitazioni militari. Un governo regionale composto da indipendentisti avrebbe già chiesto non meno di 5 miliardi di euro allo Stato per i danni arrecati.
Bene il movimento Unidos che aveva già presentato una denuncia per disastro ambientale contro i vertici dello Stato. E il 13 settembre manifestazione indipendentista a Capo Frasca contro lo servitù militari con ProgReS, Sardigna Natzione, FIU, Scida, Partito Sardo d’Azione e tanti altri. Paradossale invece l’annunciata presenza del PD regionale, partito che governa tanto a Roma quanto a Cagliari, e che ha sempre difeso l’abuso del territorio. C’è da augurarsi che la presenza di alcune componenti di questo partito centralista possano aprire un serio dibattito sulla natura del proprio operato. Perché in Sardegna non abbiamo bisogno di stucchevoli parate promozionali da parte degli stessi soggetti che consentono l’attuale situazione di crisi. E anche perché a Roma non si faranno impressionare da una manifestazione del loro stesso partito quando il loro governatore, Pigliaru, risulta incapace di aprire un ampio scontro istituzionale con lo Stato.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.