Flop di AMPI e del PD sull’Auchan di Sassari: a quando un approccio meno ideologico?

Afferma il quotidiano La Nuova del 2 aprile: “Lo sciopero organizzato dai sindacati, le campagne di boicottaggio allestite dalla Confesercenti e da A Manca, si sono rivelate un flop totale. I lavoratori alla fine non hanno aderito e i clienti ancora di meno”.

Poche righe che squalificano il lavoro della politica, inclusa quella indipendentista.
Auchan infatti ha registrato un grande successo commerciale nel giorno di pasquetta. Probabilmente La Nuova avrebbe dovuto ricordare che la fallita protesta a favore della chiusura è stata sostenuta anche dal principale partito che amministra Sassari, il PD.
Ciò premesso, non ci sentiamo di banalizzare un tema che ha risvolti sociali, culturali ed economici che affondano le loro radici nel drammatico panorama occupazionale isolano, con tutto ciò che ne consegue.

In primo luogo c’è il fallimento del sindacalismo italiano, perché a dispetto delle letture ideologiche del caso, non è stato “il padrone” a vincere sui lavoratori, e neppure “il popolo bue schiavo del consumismo”, ma la volontà dei lavoratori di non rinunciare ad una positiva giornata professionale, soprattutto in tempi in cui migliaia di Sardi sono privi di lavoro. Inoltre, se i consumi ci sono stati, significa che esiste ancora una minima vitalità economica e questo non può che essere un fatto positivo. Ben più preoccupanti sono invece quelle voci che speravano in un flop dei consumi.
In secondo luogo c’è il fallimento della politica che amministra Sassari, a partire dal PD, la quale, nel corso degli anni non è riuscita a costruire – non solo un maggiore sviluppo economico – ma neppure alcuna alternativa sociale e culturale che potesse tramutarsi in una meta per quei sassaresi che in una giornata di maltempo non volevano comunque rimanere a casa.
Ma non solo, c’è stato un concorso di colpa anche da parte di Confesercenti, la quale, al posto di perpetuare la cultura italica del “tutto chiuso durante le feste”, avrebbe dovuto incitare gli esercizi commerciali ad aprire ed offrire i loro servizi alla popolazione. E’ un problema che riguarda l’intera Sardegna e non ha nulla a che vedere col diritto “al giorno di riposo”. Non esiste Paese sviluppato al mondo nel quale nei giorni festivi vi sia anche il deserto commerciale. E’ un approccio culturale erroneo che dobbiamo superare e che nulla toglie all’orientamento secondo il quale bisognerebbe limitare la grande distribuzione commerciale (quest’ultimo infatti è un problema a parte, che non giustifica la chiusura delle serrande).

Vi è infine il flop della sinistra indipendentista Sarda e del suo “sudato lavoro” sul territorio, di cui anche stavolta la popolazione ha fatto volentieri a meno. Abbiamo un grande rispetto per coloro che in buona fede ritenevano di tutelare i diritti dei lavoratori rispetto ad un gruppo commerciale che esporta altrove i profitti conseguiti nel territorio. Per costoro valgono tuttavia le stesse osservazioni da porre al sindacalismo ed alla politica di matrice italiana: quali alternative sociali e culturali ha prodotto l’indipendentismo per invertire il fenomeno che si è determinato a pasquetta? E inoltre: quali riforme economiche ha prodotto negli anni per far si che al posto dei francesi di Auchan vi fosse stato, a limite, un forte circuito commerciale Sardo?

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    1 Commento

    • A memoria, non ricordo di aver visto mai i Città Mercato chiudere per il giorno di Pasquetta.
      Anzi, io ricordo che, nel 2005, mi sembra, la Città Mercato di Olbia aveva uno striscione enorme e in bella vista “Pasquetta Aperto”.
      Ho letto, a marzo, la protesta sul sito di AmpI. Ma, dopo tutti gli anni che avviene così, se ne accorgono SOLO ADESSO che nei centri commerciali si lavora anche a Pasquetta?
      Io, il giorno di Pasquetta, ero in volo, da Olbia a Milano, per tornarmene a Torino. A Pasquetta, ci hanno detto. Perché il giorno dopo non lavoravano.
      Ora, si può anche essere d’accordo sul fatto che i centri commerciali grossi così sono frutto di un progetto coloniale che sfavorisce la filiera corta. Ma si può anche essere d’accordo sul fatto che i lavoratori non abbiano aderito allo sciopero perché loro, evidentemente, avevano bisogno di lavorare anche a Pasquetta!
      Ma gli indipendentisti, oltre che unirsi, non potrebbero voler fare quello che ho sentito fare, mi sembra, in Polonia?
      In Polonia, i centri commerciali offrono spazio ai produttori locali, i quali possono vendere il proprio prodotto in quelle strutture nel fine settimana.
      Non so quanto potrebbe rilevarsi efficace, qui, la cosa. Ma mi sembra più fattibile che radere al suolo forzatamente i centri commerciali così, di punto in bianco, e far vendere i prodotti di pastori e agricoltori SOLO DOPO.

      Voi, cosa ne pensate?

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