Appunti da ripetere sull’Autonomia

Althusius-URN Sardinnya

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“Costruire l’autonomia per costruire l’indipendenza”. Una bella frase. Peccato che la Sardegna non navighi in buone acque sulla valutazione di percorsi e possibili approcci allo sviluppo della sua sovranità.
Sono passati secoli da quando il giurista Jean Bodin introdusse la Francia alla moderna concettualità dello stato-nazione, o meglio, alla paralisi dell’assolutismo. Una formula cui nello stesso secolo si contrappose la filosofia politica di Johannes Althusius, primo vero pensatore federalista nonché avversario della teoria secondo la quale una sola istituzione (all’epoca, il sovrano) avrebbe dovuto guidare lo Stato senza fornire alcuna delega legislativa al Popolo.
Dal “Politica methodice digesta” ne è passata di acqua sotto i ponti. Anche sotto quelli Sardi, i quali hanno visto l’isola passare di mano da una monarchia all’altra finché, nel 1861, non nacque il Regno d’Italia.
Sarebbe scorretto affermare che l’Italia unita non abbia portato benefici alla sua popolazione nel momento in cui, o meglio, col passare del tempo, ha conseguito una posizione di relativo sviluppo e media potenza in seno alla Comunità Internazionale.
Sfortunatamente parte del PIL Italiano è il prodotto dei re-investimenti del crimine organizzato, il quale, solo al sud e solo in certi noti quartieri, fattura (pensate) tanto quanto il PIL di alcuni paesi del “terzo mondo” messi insieme.
L’Italia, politicamente e socialmente parlando, nei fatti rimane un Paese a diverse velocità in cui spesso e volentieri dei territori dal grande patrimonio umano ed ambientale (come la Sardegna) vengono esclusi dallo sviluppo. Siamo nella situazione per cui serve addirittura più di un decennio per cantierizzare un’infrastruttura stradale, ma nel frattempo Roma rapina e non restituisce quel gettito fiscale di miliardi di euro (derivante dalle nostre tasse) previsto dalla finanza regionale (vedere vertenza entrate).
Dopo 60 anni abbiamo la consapevolezza che la vecchia “Autonomia” scaturita (con legge costituzionale) nella forma dello Statuto Autonomo del 1948 è superata. Fin’ora ogni tentativo di riforma delle istituzioni Sarde si è arenato e/o è caduto nell’oblio: come la proposta di revisione Costituzionale (Vedi PDF) presentata in Senato nel 2006 dal Presidente emerito Cossiga e come la proposta della Noa Carta de Logu (Vedi PDF) di qualche anno fa.
Ma se l’Italia centralista fu un organismo disegnato militarmente dalla monarchia Piemontese (proiezione di quella accentratrice Francese) al fine di unire popoli culturalmente e linguisticamente diversi, la parola d’ordine nel presente non è data solo dal riconoscere la necessità di una nuova Autonomia, quanto dal capire che di Autonomia non ne abbiamo mai seriamente esercitata.
E’ tempo di uscire da una certa vecchia retorica indipendentista abituata al vilipendio verso una fantomatica Autonomia Sarda:

Chi mai avrebbe il coraggio di dire oggi che la Sardegna ha capacità fiscali ed erariali completamente autonome?
Chi mai avrebbe il coraggio di dire che la Storia e la Lingua Sarda sono peculiarietà riconosciute e diffuse dalle istituzioni (la scuola in primis) e dai Media?
Attorno a noi solo centralismo italiano: Chiamiamo le cose con il loro nome.
Non esiste alcun nazionalismo Sardo capace di bilanciare quello italiano, ma la colpa non è necessariamente dell’ignavia politica locale o del centralismo romano. Nell’isola abbiamo avuto un insieme di fattori strutturali e sociali (come Pubblica Istruzione, Sport e Media) che fin’ora hanno ritardato l’evoluzione della politica identitaria Sarda e la sua conseguente diffusione elettorale. Non solo quindi problematiche connesse all’endemica assenza di fondi rispetto ai grandi partiti italiani (detentori dello status quo) ma evidenti ritardi concettuali della politica territoriale.

Sono finiti i tempi in cui l’embrionale indipendentismo Sardo (di matrice Marxista) connotava la battaglia per l’autodeterminazione in misura ideologica.
La conquista della sovranità non avverrà mai attraverso un cambio repentino del sistema-Paese ma esclusivamente attraverso un percorso progressivo di adattamento strutturale del sistema sociale, economico e culturale Sardo, nel tempo. A seguito di riforme.
Bisogna altresì fare alcune distinzioni: I partiti italiani in Sardegna non sono autonomisti ma centralisti.
L’autonomismo non è l’Autonomia (in Sardegna, ancora da costruire).
L’autonomismo è piuttosto un percorso di conseguimento dell’Autonomia che può muoversi sullo stesso piano dell’indipendentismo e non è (rispetto ad esso) un concetto antagonista.
Il percorso di sviluppo della sovranità, per gradi, nelle istituzioni Sarde, è autonomismo. Un processo fin’ora mai attivato da alcuna forza politica.
E’ notorio che un certo vetusto circuito indipendentista ripeta quanto la stagione delle alleanze sia “superata” e non abbia mai portato a nulla (vedasi il passato del Partito Sardo d’Azione), ma è altrettanto notorio che tale pregiudizio si basi su motivazioni prive di fondamento:
Infatti, solo negli ultimi anni possiamo considerare accresciuto il panorama di sigle identitarie Sarde (nonostante i voti siano in calo rispetto al decennio scorso).
Il punto focale risiede nella necessità di ridurre la frammentazione politica per promuovere maggiore coordinazione programmatica tra sigle territoriali.
E’ necessario passare alla rimozione completa della sciocca ed inesistente guerra tra autonomismo ed indipendentismo.
Bisogna sviluppare un progetto politico capace di pesare ed influenzare l’operato di una eventuale amministrazione regionale nel suo Consiglio legislativo.
Non si può combattere il bipolarismo in ordine sparso, né fuori da sedi di governo: Una formula deleteria che oggi diviene del tutto organica e funzionale al centralismo che invece dobbiamo avversare.
Altro mito da sfatare è la pregiudiziale secondo la quale l’Autonomia non è che una forma di subordinazione rispetto allo Stato centrale e quindi “non s’ha da fare”:
Se è vero che il federalismo invece si pone come organismo che assegna pari grado di sovranità a centri amministrativi diversi, non è improprio affermare che anche un’Autonomia eventualmente subordinata allo Stato centrale garantisca quei criteri di potenziamento e consolidamento del Nazionalismo Sardo nel tessuto sociale. Che cosa intendiamo dire?
Che senza una vera Autonomia economica e culturale, il Popolo non maturerà mai una visione distinta ed autonoma di sé dal resto della Repubblica e pertanto senza il fondamentale gradino autonomista non si capaciterà mai di avere peculiarietà e potenzialità di autodeterminarsi verso nuove forme istituzionali. Magari da conseguire, in futuro, attraverso un referendum sull’indipendenza.
Fermo restando la ovvia permanenza nell’Unione Europea e nel generale consesso della Comunità Internazionale.

L’aspetto più grottesco di alcuni indipendentisti è che recriminano ai rappresentanti Sardi dei partiti centralisti di non essere abbastanza “autonomisti” (in ragione dell’etichetta autonomista che gli appiccicano addosso più di quanto tali politici non se la costruiscano da soli per ragioni propagandistiche); ma gli stessi indipendentisti tacciono nel momento in cui le loro discutibili dirigenze si dividono e non riescono a formulare alcuna piattaforma programmatica in fase di elezioni. Le responsabilità generali le imputano sempre “agli altri”, ai centralisti che chiamano “autonomisti”. Mai a se stessi. Paradossale appare inoltre lo slogan coniato dal movimento IRS: “Meno Autonomia, più Sovranità”, come se l’autonomia non sia una forma di sovranità o come se l’autonomia sia un qualcosa di immutabile nel tempo che non può essere sottoposto a nuove riforme e quindi a più riscritture statutarie. Se invece ci si riferisce all’autonomia speciale del 1948 (Vedi PDF), evidentemente non si ha l’esatta percezione di ciò che si afferma: Anche le ex “Repubbliche” Sovietiche venivano definite “Repubbliche” ma nei fatti non lo erano, perché si trattava di regimi. Alla stessa stregua, la Sardegna non dispone di alcuna reale sovranità/autonomia (applicata) su diverse pertinenze sociali ed amministrative. Si tratta di una realtà fattualmente centralista.

L’indipendentismo Sardo deve crescere e capire che il suo sviluppo elettorale è strettamente connesso allo sviluppo di un percorso autonomistico di riforme dell’assetto socio-territoriale. Non si può altrimenti pretendere di entrare nei grandi numeri della politica emulando modelli politici in cui invece (come ad esempio la Catalogna) esiste un cosciente substrato nazionale distinto da quello centrale.
Per dirla in parole semplici: Se non introdurremo legislativamente verso il Popolo la nostra cultura nella scuola pubblica e nei media, veramente pochi matureranno la comprensione delle istanze indipendentiste.
Piuttosto, come nel presente, tali istanze rischiano di venire diluite ed inquinate verso un fasullo autonomismo prodotto abitualmente dai partiti italiani.

L’appello è dunque tutto per i dirigenti dei movimenti “autonomisti” ed “indipendentisti” Sardi:
Basta con le etichette e le divisioni. Riformiamo la carta fondamentale dell’isola.
Sapete benissimo che la stagione delle utopie e della bassa propaganda da distribuire a piene mani alla propria militanza è finita.
E’ tempo di parlare chiaramente e di assumersi responsabilità di governo.

Grazie per la cortese attenzione.

Di B. Adriano e F. Maurizio.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    13 Commenti

    • Avercene indipendentisti con questa maturità di pensiero.. Cè da pestare e pestare e pestare.

    • Attualmente abbiamo (numericamente o comunque come voti) il PSdAz, Rossomori,IRS, SN, il Paris, A Manca, e forse qualcun altro che mi sfugge, tutti nei loro proclami e a volte negli statuti dichiarano l’indipendenza della Sardegna, quale obiettivo finale, di strumenti per arrivarci, buio assoluto, perchè la pratica, oltre ai volantini, e varie manifestazioni per cercare proseliti, non permette il confronto, peraltro i dibattiti, sono sempre sui bisogni del popolo sardo, giustamente, ma se tutti costoro, fossero onestamente umili, incomincrebbero a chiedersi/ci, come si arriva democraticamente (per chi ci crede ancora)ad avere la maggioranza dei consensi, in modo da governare applicando innanzitutto integralmente lo Statuto Sardo e pretendendo l’applicazione del Titolo V della Costituzione Italiana, le parti a noi favorevoli della Costituzione Europea, seppure con i tagli che ha subito dal Trattato di Lisbona, chissà se oltre a discettare di nucleare, servitù varie ,demani statali e regionali, parchi e quant’altro i rappresentanti autoeletti (dato che pure frequentandoli ,non ho mai avuto sentore di congressi con libere elezioni)sapranno dare risposte in merito, non al sottoscritto -che è un sifnor nessuno- ma al popolo sardo del quale costantemente dichiarano di volerlo rappresentare. A si biri in paris e in paxi

    • Il Negazionismo dei Sardi,Autonomismo e Sovranità.

      Molti sardi, intellettuali o meno, quando rivendicano concetti di sovranità e indipendenza della Sardegna, precorrono la storia sarda non tanto in termini di autoconsapevolezza culturale (che ha ovviamente un valore inestimabile) quanto soprattutto emotiva, esprimendo una profonda assimilazione interiore di tale idea, fino a che tutto ciò si trasforma in “intuizione emotiva” della propria appartenenza e sardità! Questa “ intuizione” che si chiama -indipendentia de Sardigna- diviene infine oggetto di convincimento politico da perseguire possibilmente nella prassi.

      Dunque, quando si parla ad esempio ad Ollolai di deficit di identificazione nazionale sarda, per capire l’origine di questo atteggiamento , è necessario osservare che si tratta di un deficit di identificazione di ogni sardo (“negazionismo”) con la propria terra; questa appare in costoro, un semplice contenitore inanimato!

      A me questa cosa sembra molto grave, nel passato come nel presente e anche nel possibile futuro poiché mi pare che in questo senso gli intellettuali e i politici rispetto al popolo sardo, abbiano notevoli responsabilità (pure l’assemblea di Ollolai è infatti prevalentemente di intellettuali e non certo agricoltori) anche perché a partire dal Sardismo di Bellieni ed Emilio Lussu e a finire al pseudo sardimo di Cossiga ogni qual volta i sardi potevano esprimere una diversità o alternativa, ci si è affrettati ad omologarli agli “italiani” e non solo![ ma chi sono gli Italiani? (?)]

      Si è ritenuto opportuno introiettarne in tutta fretta ed in modo indiscriminato i modelli prevalenti di pensiero quasi come se fosse necessario integrare la propria scarsa e insufficiente cultura con quella altrui! Dentro questa cornice il pensiero di A.S. Mossa assume significato assolutamente attuale in quanto potrebbe essere stato formulato in qualsiasi giorno di questo secondo millennio!

      [Quella libertà si chiama indipendenza politica ed economica e giustizia
      sociale: libertà che significa che i sardi debbono essere prima di tutto padroni della loro terra, arbitri dei loro destini. Ma dovranno acquisire una profonda fiducia in sé stessi. Dovranno intendere che la redenzione sociale non potrà mai essere importata di là dal mare come una qualunque merce di scambio. Ma dovranno essere essi stessi ed essi soli gli autori di quest’opera di riscatto. Altrimenti dovranno rinunciare ad essere uomini, ad essere popolo libero, e restare per sempre schiavi. (A. S. Mossa-1969)]

      Sostanzialmente , rispetto agli anni 60-70 è come se fossimo punto e a capo!
      Ne affermo la gravità perché le grandi trasformazioni di una società o di una nazione non avvengono solo a partire dalla base, ma da questa si espandono come l’urto di un’onda, solo quando quella “base” è investita da un forte orientamento prima ancora in termini di semplici modelli culturali piuttosto che politici e che provengono da menti “illuminate” e trascinanti di intellettuali politici e storici.

      Per la penna di molti autori della stessa storia Sarda i sardi stessi non esistono! Semmai appaiono come spettatori passivi travolti dalle vicende storiche, ma non protagonisti “liberi”, bensì semplici comparse dentro il “contenitore dell’isola!” Si descrive la storia dei fenici e cartaginesi in Sardegna, dei romani in Sardegna ,dei bizantini in Sardegna dei pisani genovesi e infine dei Savoia in Sardegna = la Sardegna fenicia, punica, romana, piemontese e cosi via.

      Dunque, dopo questo insieme di considerazioni, possiamo riscontrare una costante nella collocazione dei sardi negli avvenimenti del passato che li hanno interessati, fino al tempo presente di Ollolai; il negazionismo dei Sardi verso se stessi e verso la propria terra! … dagli intellettuali ai politici, dagli storici alla gente “comune”.
      I sardi, pare che non si sentano all’altezza, i sardi, sembra che abbiano paura del confronto della propria cultura con la cultura altrui e piuttosto che andare incontro ad una divaricazione di pensiero di metodo e modelli sociali, preferiscono un basso profilo innanzitutto emotivo, collocando se stessi dentro contenitori più ampi e in apparenza “protettivi”.

      In questo contesto, percepisco e capisco l’amarezza dei “molti” che al contrario si sentono proiettati verso ben altri orizzonti, la sensazione è che ci si trovi a nuotare controcorrente! Tuttavia sappiano costoro che il ruolo che essi interpretano attualmente è insostituibile e di inestimabile valore!

      Paradossalmente, a me pare che questo impoverimento intellettuale si sia molto radicato e rinforzato nell’arco di questo cinquantennio definito-autonomismo- e questo autonomismo esercitato poco e malamente (fino a R. Soru) ha provocato gravi danni, insieme ad un certo Sardismo conservatore del PSDAZ. Non solo non si è provveduto alla riconquista di una piena fiducia in se stessi, ma al contrario e con la complicità di intellettuali e politici a volte anche imbelli, si è provveduto ancor più a svuotare la sardità e identità dei sardi (italianizzazione culturale e linguistica forzata e niente altro) con il grave danno di impoverire le nuove generazioni che sarebbero invece dovute essere quelle che nel prossimo futuro avrebbero potuto “riscattare il popolo sardo” secondo una visione lungimirante di A. S. Mossa.

      Si è andati al contrario, sempre e costantemente in una unica direzione; tanto meno i sardi si sentono sardi, i siciliani siciliani. i lombardi lombardi e cosi via tanto più i sardi i siciliani e i lombardi etc, vengono forgiati in Italiani! Il nuovo soggetto storico-giuridico!

      Ci possiamo chiedere ulteriormente: ma la gente sarda (e non solo) cosa desidera? Ovviamente penso che desideri in prevalenza il benessere e la tranquillità della vita quotidiana. E’ chiaro quindi che vista la situazione attuale di relativo “benessere” la parola indipendentismo-indipendenza possa intimorire in quanto per la gente ed anche per molte altre questioni attuali, il denaro ha molto più valore degli ideali, dei principi e anche della stessa giustizia. Infine la parola indipendentismo-stato-nazione nell’inconscio collettivo è spesso sinonimo di violenta aggressione dello stato, sovvertimento istituzionale, anche se i sardi non sarebbero capaci di tutto cio.
      Storia docet!

      In definitiva, questo insieme di questioni del passato e del presente spiega concretamente le difficoltà della gente ad aprirsi verso un nuovo modello di Sardegna, che è innanzitutto la necessità di rimettere in gioco se stessi! In questa dinamica, al contrario, molto più sicura risulta essere la condizione del negazionismo.
      Sostanzialmente il compito di molti intellettuali aderenti o meno a movimenti indipendentisti, è quello di invertire la tendenza; promuovere democraticamente una nuova coscienza dell’esistere come Sardi attraverso i metodi e i mezzi che più si rivelano adeguati.
      Tutti i movimenti di opinione e i movimenti indipendentisti in genere nell’insieme, concretamente, hanno questo compito fondamentale; demolire innanzitutto il negazionismo dei sardi! Fornire a costoro, nuovi modelli di pensiero, nuovi punti di vista della storia, nuova fiducia nelle proprie risorse e nelle proprie intelligenze, ricostruire!

      Solo quando quest’ultimo punto verrà almeno sufficientemente soddisfatto, allora e solo allora si potrà constatare il sorgere spontaneo nei singoli di una nuova coscienza identitaria nazionale fondamento preludio a quel riscatto tanto caro ad A. S. Mossa.

      E’ mia opinione che paradossalmente uno dei motivi storici e principali alla base di questo negazionismo sia identificabile nella stessa condizione di autonomismo della Sardegna all’interno della costituzione Italiana! Se ci spingiamo ad una analisi del tempo appena trascorso possiamo anche sostenere che sessant’anni di storia dell’autonomismo in Sardegna siano adeguati e sufficienti per esprimere un giudizio di merito al rapporto esistente tra autonomia sovranità
      La domanda realistica che dovremmo porci è : quanto l’autonomismo ha prodotto e consente tutt’ora in prospettiva sovranità per il popolo sardo? Ebbene, a meno che non si voglia negare il valore della storia di questi ultimi sessanta anni, dovremmo riconoscere che soberania no est indipendentia ; autonomismo e sovranità sono due fenomeni nella prassi assolutamente disgiunti e sui quali, politici intellettuali e storici di diversa estrazione e orientamento, dovrebbero una volta per tutte iniziare a riflettere e interrogarsi!

      Autonomismo e sovranità, si sono rivelati talmente due fenomeni disgiunti che paradossalmente l’uno ha escluso l’altro! Se non fosse in questo modo, oggi, avremmo modo di vivere una Sardegna diversa; una Sardegna aperta all’esterno ma nel medesimo tempo orgogliosa di se stessa, orgogliosa per i tanti obiettivi raggiunti, e i sardi non negazionisti bensi “liberi” e molto più “felici” di ciò che sono in un’isola felicemente progredita!

      Se non fosse in questo modo, avremmo assistito ad un trionfo di popolo (della gente comune, degli intellettuali e dei politici) quando il presidente Soru, unico politico in sessanta anni di autonomia della regione ad esercitare concretamente la “sovranità” ha cavalcato la politica con una visione da sardo, ha indossato le vesti d’identità del popolo, dell’autogoverno e della meno dipendenza facendo peraltro transitare attraverso le normali istituzioni Sardità e Sardismo!Al contrario, la sovranità è stata giuridicamente ridimensionata e frustrata perché lesiva di taluni principi della costituzione italiana, ed il popolo sardo con una significativa fetta di intellettuali politici e politicanti al seguito ha bocciato Soru, la sardità e il sardismo in nome di interessi economici di potere politico, e non solo!
      L’esercizio istituzionale del presidente R. Soru ha avuto comunque il grande pregio di rendere evidente cio che in realtà era sommerso; l’autonomismo imperfetto, l’autonomismo limite, la sovranità inesistente, la pseudo – sovranità il negazionismo dei sardi!

      In definitiva, l’autonomismo ha concretamente omologato in modo anomalo la politica sarda alla politica d’oltre mare, ha anestetizzato le menti di molta della classe dirigente sarda, ha svuotato di contenuti culturali e identitari la prassi politica dei sardi, ha reso infruttuoso il lavoro identitario di menti intellettuali illuminate, ha impedito una crescita autonoma e responsabile della cultura e della stessa politica sarda, coltivando il divisionismo della gente e della politica.

      L’autonomismo travestito da pseudo sovranità ha prodotto una classe dirigente incapace di capire la propria terra e le sue esigenze; una classe politica fine a se stessa e rivolta più ai vantaggi e privilegi di salotto della politica nazionale piuttosto che ai bisogni del popolo Sardo!
      L’autonomismo ha anche prodotto tanti e tali danni che appare anche lecito pensare e sospettare che potremmo trovarci in un momento storico di soglia raggiunta, in un punto inevitabile di non ritorno !

      A meno che non si voglia dunque sostenere a priori che il popolo Sardo abbia limiti di intelligenza e sensibilità, che abbia limiti di organizzazione della vita sociale e politica , ebbene, questo fallimento – negazionismo è da imputare in prima istanza al contesto medesimo in cui i Sardi stessi sono stati costretti ad operare in questo sessantennio; autonomismo = pseudo sovranità.

      E’ chiaro, i nostri padri hanno volontariamente consegnato la fedeltà del popolo sardo all’Italia rinunciando alla totale indipendenza politica e statale, e noi prendiamo atto di un gesto forse storicamente non evitabile avendone però ricevuto in cambio una deprivazione culturale, identitaria senza precedenti nella costante resistenziale Sarda attraverso la storia.

      Bisognerà d’ora in avanti parlare ai sardi intellettuali e non, sempre meno di sovranità in termini di autonomismo e sempre più in termini di indipendentismo – indipendenza. Bisognerà porre l’accento sulle differenze con la penisola piuttosto che sulle eguaglianze, quest’ultime, infatti, sono state bene assimilate ed anche a caro prezzo! Bisognerà parlare alla gente di sovranità e identità, dignità e peculiarità della Sardegna.

      D’ora in avanti all’interno di queste istituzioni e di questa costituzione italiana, se concetti quali sovranità istituzionale e politica, autogoverno, meno dipendenza e più indipendenza, non saranno finalizzate alla crescita di una prospettiva storica possibile e futuribile di una reale indipendenza e non solo formale della Sardegna e dei Sardi tutti, ci dovremo rassegnare all’illusione di un autogoverno, al perpetuarsi di un progressivo impoverimento della cultura sarda fino alla scomparsa degli stessi sardi in Sardegna sostituiti da un nuovo soggetto storico-giuridico che da circa centocinquanta anni è in via di sviluppo; il cittadino italiano!

      Saranno contenti Mazzini, Garibaldi, Cavour e altri. Non io! Non tanto! Non in questo modo.

      Sergio Brundu

    • Nell’articolo di URN Sardinnya signor Brundu si evidenzia proprio l’equivoco seguito in Sardegna alla drammatica divisione tra autonomismo ed indipendentismo. In 60 anni probabilmente abbiamo chiamato autonomismo qualcosa che non lo è perché di fatto è centralismo. In ragione di questo equivoco (a cui si è dato spago per diverse ragioni politiche) gli indipendentisti hanno finito per creare un feticcio da attaccare, ma attaccando così contemporaneamente anche un percorso progressivo di conquista della sovranità.

    • Nel mio intervento.. ho cercato di evidenziare il fatto che l’autonomismo in sardegna è una cosa “impossibile” quello vero intendo. Se i Sardi avessero avuto forza e tempra per esercitarlo lo avrebbero fatto … (come Soru ), e non saremmo qui a discuterne. Se questo non è successo dopo sessanta anni cosa fa pensare a qualcuno che possa succedere adesso? Cosa fa pensare che questa sia la strada maestra? Cosa fa pensare che adesso possa cambiare qualcosa nella mentalità di politici e intellettuali?

      Al contrario io penso che gli aspetti di esercizio negativo dell’autonomismo andranno sempre più rinforzandosi incanalandosi verso il “globalismo culturale” l’appiattimento politico e identitario fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.

      Dal mio punto di vista dunque, non si tratta di un equivoco nè di un feticcio da attaccare. La distinzione formale e teorica tra Unionismo – autonomismo – indipendentismo rimane appunto solo formale ed equivalente per i primi due passaggi, questo non lo dico io lo dice la prassi storico politica di questi ultimi sessanta anni. Qualcuno provi a smentirla in termini concettuali e non di semplice affermazione.

      Non possiamo ignorarla e bisogna necessariamente interrogarsi del perchè i sardi in genere non hanno esercitato questa autonomia vera comportandosi da autonomisti come unionisti!Se non si procede su questa analisi storico sociologica e non si da una spiegazione esauriente del fenomeno rischiamo di perpetuare l’errore che ignoriamo. E se non procediamo a capire il perché del fallimento dell’autonomia sarda, non siamo neanche “autorizzati” concettualmente a difenderla a tutti i costi, a meno che per l’appunto non vogliamo trasformarla al contrario in un feticcio inattaccabile, come a me sembra.

      Chi può rispondere a questa domanda: se i Sardi potevano esercitare l’autonomia vera, perché non lo hanno mai fatto?

      Per questo ho dedotto che l’autonomismo, come istituto giuridico all’interno di uno stato centralista come quello italiano applicato alla Sardegna è la causa stessa dell’immobilismo della sardegna. La spiegazione è talmente ovvia che per questo motivo sfugge. L’altra possibilità di pensiero è che il sardo non sia un popolo “capace “ , ma Soru giustamente dice “l’intelligenza” è ben distribuita tra tutti i popoli e quindi anche tra noi!

      In questo senso, costruire un progetto culturale indipendentista, possibile per il futuro ( non per l’immediato presente) diviene essenziale proprio per cambiare registro nell’affrontare le questioni ed avvicinarsi a nuovi modelli culturali, che magari non consentiranno l’indipendenza della sardegna ma che potrebbero realmente indurci ad essere veramente autonomi!

      Prima di tutto nella mente!

      Da questo punto di vista io non vedo molte differenze tra sinceri e convinti autonomisti e sinceri e convinti indipendentisti, specie se tutto ciò è semplicemente finalizzato ad una prassi politica di crescita della sardegna e di tutti i sardi.

      Saluti
      Sergio brundu

    • Sarebbe improprio paragonare Soru agli anni ’50 ed all’autonomia del secondo dopoguerra, sia sul piano sociologico che politico: I motivi sono semplici, il PSD’AZ ancora andava affinando il suo pensiero; il potere (nella guerra fredda) di PCI e DC aveva una penetrazione sociale non indifferente ed i vari nazionalisti indipendentisti (come la Lega Sarda di Bastià Pirisi) furono annientati. Soru invece è figlio del suo tempo, arriva da un’epoca in cui il centralismo culturale ed istituzionale italiano è avanzato mentre il Sardismo non ha saputo capitalizzare quanto conseguito nei primi anni ’80 a livello statutario. Questa è la storia. Non si può dunque colpevolizzare nessuno se proprio in questo escursus è stata una vera autonomia la grande vittima di un processo di acquisizione della coscienza politica territoriale. Ciò non dovrebbe essere interpretato come motivo per abbandonare l’unico percorso progressivo che in questo contesto occidentale può consentire all’indipendentismo di crescere: Un processo autonomista (reale). Ma questo percorso non possiamo certo aspettarcelo da PD e PDL. Soru finché farà parte di un partito centralista non potrà mai rappresentare questa necessità. Spetta ai movimenti territoriali Sardi capire quanto sia sciocco sfidare il bipolarismo in ordine sparso e senza un disegno politico che veda nella riforma graduale delle istituzioni Sarde il criterio entro il quale attivare un serio processo indipendentista.

    • Le aggiungo una domanda: Ritiene possibile che le nuove generazioni, inserite in un contesto dove la scuola è italiana, i media sono italiani, la burocrazia è italiana, lo sport è italiano e persino il partito (visto il caso Soru) è italiano…possa contribuire a sollecitare l’avvio di una coscienza autonoma di se nei Sardi? Io penso che se non modificheremo legislativamente questa realtà, per gradi, il tessuto sociale rimarrà tale e quale ed anzi, rischia di proseguire l’assorbimento sociologico e politico dei Sardi all’italianità, sia essa culturale che formale. Cordialmente.

    • Dovremmo agire su due fronti: uno, quello italiano, contestando l’adeguatezza della Carta Costituzionale italiana, ossia mettendo in discussione l’idea che la Carta, fonte del centralismo che ci soffoca, prodotto anche nostro, sia da considerare come una bibbia intoccabile; due, quello sardo, dandoci una nostra Carta. L’unico presupposto per partire è proprio quello che hanno individuato gli autori: ridare fiducia ai sardi, ossia coltivare il senso di autostima in quanto uomini liberi, affinché i sardi si esprimono liberamente in sardo e studino la propria storia e le proprie tradizioni a scuola. Po me, diant essere custos sos primos trintzeramentos de ‘inchere fainde fortza paris. La frase di Antonio Simon Mossa sui sardi che non sono italiani, che noi condividiamo, non deve farci rinunciare al credito accumulato in quanto italiani di serie A in rapporto al contributo di sangue.
      Occorre però persuadersi che finché non si riuscirà a far entrare la Sardegna a scuola in pompa magna, sarà necessario sopperire con un grande attivismo, come del resto si sta già facendo, Irs, in testa. Lo dico per spezzare una lancia a favore di Irs, visto che qui riceve critiche implicite non peregrine.
      Piero Atzori

    • Naturalmente una cosa è fare della storia Sarda l’unico motivo per guardare al futuro,( ma chi lo fa?!) altra questione è proprio rinnegarla come fanno molti Sardi e pensare di guardare al futuro basandosi solo sul presente.

      Tesi congressuale delXXI congresso del Partito Sardo d’Azione;
      —-
      7. L’identità della Sardegna è un’affermazione politica e culturale, non una dimostrazione storica
      Come l’identità delle persone nasce da un progetto e da un’esperienza,così l’identità dei popoli non è una dimostrazione ma un’affermazione politica e culturale che orienta un’educazione.Bisogna definitivamente emanciparsi dai cascami delle ideologie ottocentesche e delle storiografie che ne sono derivate. L’identità della Sardegna non va dimostrata cercando le originalità del nostro percorso storico.
      Nel mondo niente di umano è naturalmente originale e la storia non è una struttura razionale collettiva che si sviluppa in modo indifferente alla libertà degli uomini. Non è per niente scritto nella storia passata che la Sardegna sia una nazione. La Sardegna ha un’identità se e perché i sardi decidono di affermarla. Questa impostazione deve guidare in una nuova direzione gli sforzi del mondo della cultura sarda. La ricerca storica non va utilizzata per cercare conferme alle posizioni politiche.
      ——
      Ora io penso che effettivamente Bomboy ha moltissima ragione di essere irritato. Chi può sostenere. infatti, che la storia non ha una importanza per il passato presente e futuro nella storia dell’umanità in genere?E poi, che discorsi di indipendenza vengano da qualche parte forgiati solo in un folklorismo storico?!
      Una cosa è certa, al di là di queste acrobazie mentali come nel punto 7 (scritte per distinguersi da chi?) cio che adesso siamo, e che esterneremo ( se lo esterneremo) lo dobbiamo nel bene e nel male alla storia che abbiamo vissuto.

      Ci hanno fatto studiare la storia di tutto il mondo, persino di civiltà scomparse, ma la storia Sarda No! Ci hanno insegnato la letteratura di tutto il mondo e ci è stata negata quella sarda! Nelle scuole ci hanno “convinto ” attraverso la storia e la letteratura che siamo Italiani. Ma la storia della Sardegna è solo una appendice della storia piemontese e dei Savoia! Ci hanno ingannato, come sardi nelle istituzioni, nella politica e nelle scuole, gli stessi sardi, facendoci credere che non esisteva nient’altro, se non la Storia d’Italia!

      La verità è che i Sardi sono ignoranti di se stessi, e questo grazie anche ad una politica scellerata di chi in questi ultimi 60 anni ha portato immeritatamente in alto il vessillo dei 4 mori .
      Ma all’epoca, la stessa scelta dei 4 mori come vessillo e simbolo della sardegna parla da sola …….

      Bisogna andare in classe e studiare la Storia!

      Sergio Brundu

    • Sono d’accordo.

    • [...] SANATZIONE.EU: Per ogni moderno indipendentismo l’autonomismo non è un fine ma un mezzo. Per costruire l’indipendenza servono passaggi graduali, perché l’autocoscienza collettiva non arriva dal nulla ma solo a seguito di riforme economiche ed istituzionali, tra cui culturali, come quelle sulla scuola (storia e lingua Sarda). In politologia il potenziamento di queste necessità rappresentano un esercizio dell’autonomia: Lo stesso che non si è mai esercitato dal 1948 ad oggi con lo Statuto Regionale. Per altri dettagli: Entra. [...]

    • [...] abbiamo chiamato autonomismo qualcosa che non lo è perché di fatto è centralismo. In ragione di questo equivoco (a cui si è dato spago per diverse ragioni politiche), gli indipendentisti hanno finito per creare [...]

    • [...] nell’ombra, come la Pubblica Sicurezza; abbiamo alzato la voce sull’utilità di una vera Autonomia e di un vero Federalismo come passaggi graduali per l’indipendenza – per la ragione di dover sviluppare una vera [...]

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