Berliner Mauer 1989 – 2009

Berlinu - URN Sardinnya

28 anni di terrore, delusioni, privazioni ed una politica che non ha diviso solo una città ma il mondo intero.

Sono passati 20 anni esatti dal primo colpo contro il Muro di Berlino per il suo abbattimento. Oggi il muro non c’è più, come non ci sono più Sardi come Pietro Porcu di Modolo (OR), che morì a causa delle percosse subite dalla STASI (la famigerata polizia segreta della DDR). La sua “colpa”? Nel 1971 venne scoperto ed arrestato nel tentativo di far scappare la sua compagna tedesca dalla zona est del Muro. E forse Pietro aveva un destino analogo a quello di molti Sardi: Costretti all’emigrazione verso la Germania federale, in fuga da un’Italia dall’economia fallimentare. Dal 1961 (anno di costruzione della barriera tra i due volti della Germania) al 1989 sono morte circa 133 persone nel tentativo di oltrepassare il confine, spesso nei modi più bizzarri. Ma pare che le vittime siano più di 200.
E’ passata alla storia la visita del presidente USA Kennedy nel 1963 quando, contestando la costruzione del muro che avrebbe diviso la Germania e l’Europa, pronunciò la frase: “Ich bin ein Berliner”, (“Io sono un Berlinese”).

Secondo molti osservatori il Muro, o meglio, l’epoca bipolare della guerra fredda avrebbe rappresentato un’era “dorata” nella quale la stabilità è stata il perno della politica internazionale.
Fino a prova contraria, i conflitti sono esistiti sia sotto l’ombrello delle superpotenze che oggi, senza l’incubo dell’imperialismo sovietico alle porte.
Paesi come l’Afghanistan furono invasi ieri da Mosca come sono oggetto di intervento militare oggi da parte della NATO: nel tentativo di eradicare via (per ragioni geostrategiche) una minaccia Talebana finanziata in passato sempre da noi occidentali.
Nel 2009 abbiamo la sfida del terrorismo globale che permea le politiche di sicurezza tra gli stati, ma nella seconda metà del ’900 abbiamo avuto la minaccia nucleare ed il terrore di regime in singoli Paesi che hanno operato come strumenti di pubblica stabilizzazione.
Il vincolo della paura può essere considerato una forma di progresso civile o comunque di stabilità?
Probabilmente nò.

La moderna globalizzazione economica seguita al crollo dello statalismo non è che la naturale evoluzione dei commerci del passato, non solo economici, ma persino quelli dati dall’interscambio culturale, le cui correnti animavano le corti aristocratiche e le convenzioni religiose della vecchia Europa (Cattolicesimo, protestantesimo, calvinismo, anglicanesimo, ecc). La grande sfida del presente non è quella di adagiarsi verso l’omologazione ma quella di divulgare le diversità come patrimonio universale.

La caduta del muro è stato un atto umano prima che storico, ha consentito ad un Popolo diviso di riabbracciarsi (con l’unificazione tedesca seguita il 3 ottobre del 1990) ed ha consentito la dissoluzione di un regime totalitario come l’URSS nell’atto finale di un processo avviato anni prima grazie a Solidarnosc, il sindacato dei lavoratori polacchi di Lech Walesa.
La fine dell’economia pianificata ha consentito un lento ma progressivo miglioramento delle condizioni economiche di alcuni Paesi dell’ex Patto di Varsavia.
Rimangono altri muri in Europa e vicino a noi, come quello della contestata isola di Cipro tra Grecia e Turchia e quello a ridosso della Cisgiordania in Medio Oriente.
Il mondo è ancora un luogo insicuro e la nascita delle Nazioni Unite nel secondo dopoguerra non ha impedito le nuove disparità sociali presenti nei 5 continenti.
Ma la grande lezione che abbiamo appreso con la caduta del Muro di Berlino è la consapevolezza di sapere che la libertà dei Popoli non potrà mai avvenire sotto l’incubo di un regime (vedasi in passato il caso Jugoslavo o l’attuale Iran) perché solo la democrazia può e potrà fornire quegli strumenti di tutela alle minoranze che ancora non godono dei più elementari diritti.

Grazie.

Di Corda M. & B. Adriano.

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